UN PROGETTO DI ALFREDO ACCATINO

Viaggio non scontato tra artisti e visionari da tutto il mondo, molto lontano dai soliti 50 nomi. Non esisterebbero le avanguardie senza maestri sconosciuti alla massa (ma certo non a musei e collezionisti). E non si sarebbe formata una cultura del contemporaneo senza l’apporto di pittori, scultori, fotografi, designer, scenografi, illustratori, progettisti, che in queste pagine vogliamo riproporre. Immagini e storie del '900 – spesso straordinarie - che rischiavamo di perdere o dimenticare.


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giovedì 7 settembre 2017

WILLEM VAN GENK. L'ART BRUT HA IL CAPPOTTO DI PELLE

Nel 1932 Maria Martina Hoogstraten muore di cancro al seno. Lascia dietro di se nove figlie femmine e, l’ultimo arrivato, un maschietto di poco più di 4 anni, Willem. La famiglia è abbiente, colta, ma il padre è incapace di gestire la situazione e si dimostrerà poi depresso e violento. Whilem passa così dalla casa paterna a quella degli zii, e viceversa, vivendo in totale disagio.
Già dalla scuola primaria, Willem ha seri problemi di apprendimento e di adattamento, a testimonianza di una forma di autismo all’epoca non riconosciuto come patologia. Non riesce a seguire le lezioni tranne che l’ora d’arte, e continua a scarabocchiare tutto il giorno. E’ particolarmente debole in matematica, materia che il padre cerca di insegnarli colpendolo con la bacchetta di legno, per insegnargli addizioni e sottrazioni. 
Questi continui abusi fanno nascere in lui un complesso di inferiorità, dal quale l'arte rappresenta l'unico sbocco possibile. 
Durante l’occupazione nazista il padre, che ha ospitato e nascosto alcuni ebrei, perché non sempre le cose sono bianche o nere, attira l’attenzione della Gestapo. La polizia politica irrompe nell'appartamento, ma non trovando il capofamiglia brutalizza il ragazzo appena diciassettenne per farlo confessare. 
E' uno choc che gli cambierà la vita.
I lunghi cappotti di pelle della Gestapo continueranno ad affiorare negli anni nella psiche del ragazzo, e diventeranno poi la sua veste abituale, anche da adulto...

Queste le prime pagine della vita di un malato schizofrenico autistico, divenuto in seguito uno dei più importanti artisti del XX secolo dell’Art Brut.



Willhem prova anche a iniziare una occupazione “normale” come disegnatore in una agenzia pubblicitaria, ma non riesce a rispettare i ritmi di lavoro, e soprattutto le consegne.
Perso il contratto viene così mandato a fare un lavoro obbligatorio per una casa per disabili. Quello che i suoi concittadini chiamano “lavoro per inferiori”, che Willhem troverà degradante.
Nel 1958 avviene però la svolta, dopo essere stato sempre un autodidatta viene accettato nella Accademia Reale de L’Aia, il cui direttore ne coglie il talento.
Nel 1964 viene organizzata la  sua prima mostra personale a Hilversum. Lo scrittore olandese W.F. Hermans  commenterà:  le sue opere sono spaventosamente bellissime, ma ricordano qualcosa che preferiremmo dimenticare… ".
Nel giro di pochi riesce addirittura a mantenersi come artista (ma rifiuta di farsi fotografare o riprendere) e può dedicarsi alla sua grande passione: visitare le città: Stoccolma, Madrid, Roma, Mosca, Budapest, Francoforte e Berlino che racconta in lunga serie di tavole dedicate.

Nel 1984 viene incluso nell'Enciclopedia Mondiale di Arte Naïve.
Particolare misteriosa anche la sua sessualità piena di pulsioni contraddittorie, vicina al feticismo e piena di fobie. Nel 1987 si lamentava che la proliferazione dei parrucchieri in tutta l'Aia stava limitando la sua libertà di movimento. La vista dei capelli lunghi in uno shampoo schiumoso suscita infatti in lui sensazioni sessuali che ha difficoltà a mantenere sotto controllo...

In vita ha realizzato circa 100 dipinti, collage e disegni, la maggior parte dei quali raccontano la città, ma anche dirigibili e navi. Opere di solito grandi da uno a due metri di larghezza sulle quali ha lavorato su ciascuna per un paio di anni. Ma sono anche molte le installazioni, le sculture e il fatto che fosse se stesso e la sua vita un’opera d’arte.
E’ morto nel 2005.






 
 Gestapo trench coat





storia di 34 sconosciuti, dimenticati, inappropriati artisti del ‘900. Un omaggio ai perdenti e alla creatività dispersa. Una esigenza nata anche per valorizzare il mio lavoro di creativo, mettendo accanto fotografi e pittori, illustratori e scultori. Storie da tutto il mondo, che volevo raccontare prima che svanissero. Qualcuno è stato piegato da difficoltà, guerre, malattie, perseguitati perché ebrei, folli, omosessuali. Qualcuno ha inseguito l’amore, altri hanno combattuto battaglie perse in partenza. Perché gli Outsiders sono perdenti per definizione. Non scelgono mai i luoghi e le date giuste per nascere, creare, amare, morire. Vivono in mondi paralleli. E hanno sempre l’indirizzo sbagliato. 
Giunti Editore.



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