UN PROGETTO DI ALFREDO ACCATINO

Viaggio non scontato tra artisti e visionari da tutto il mondo, molto lontano dai soliti 50 nomi. Non esisterebbero le avanguardie senza maestri sconosciuti alla massa (ma certo non a musei e collezionisti). E non si sarebbe formata una cultura del contemporaneo senza l’apporto di pittori, scultori, fotografi, designer, scenografi, illustratori, progettisti, che in queste pagine vogliamo riproporre. Immagini e storie del '900 – spesso straordinarie - che rischiavamo di perdere o dimenticare.


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mercoledì 6 settembre 2017

ALOÏSE CORBAZ PAZZA PER IL KAISER

Ci sono stati molti casi di infatuazione per il potere e i potenti. O per i “Divi”, emanazione della perfezione irraggiungibile, e quindi da adorare o da distruggere. E’ avvenuto anche nel mondo dell’arte. Mi ricordo, ad esempio, una bellissima citazione di Dalì, che raccontava la sua perversione erotica per Hitler: “Ne fui ossessionato a tal punto da concentrare il mio delirio sulla personalità del Furher, che mi appariva (nel sogno n.d.r.) sempre in abiti femminili. Ero affascinato dalla sua schiena tenera e grassoccia, sempre così ben fasciata nella sua uniforme…la mollezza di quella carne hitleriana suscitava in me uno stato di estasi gustativo, lattiginoso, nutritivo e wagneriano che mi faceva battere violentemente il cuore. La carne paffuta di Hitler, che immaginavo più la divina carne di una donna bianchissima mi attraeva…”


Ma poi c’è il caso di Aloïse Corbaz, governatrice alla corte del Kaiser, pazza di lui. Nata a Losanna nel 1886, svizzera, sarta, nonostante avesse sognato di fare la cantante finisce a lavorare come istitutrice e governante nella corte imperiale di Guglielmo II di Germania a Potsdam, una reggia che vi consiglio francamente di visitare.
Mentre si trova qui sviluppò un legame ossessivo per il Kaiser e una forte infatuazione fisica. Allo scoppio della guerra torna a Losanna, ma i suoi deliri la portano a farsi diagnosticare ai 32 anni la schizofrenia per la quale sarà rinchiusa in un ospedale psichiatrico nel 1918.
La diagnosi di schizofrenia si ripercuote sulla sua intelligenza, la sua memoria, così come i deliri, la dissociazione del linguaggio e l'emergere di neologismi. La sua condizione progredisce sino all'autismo. Si stabilizza gradualmente ed è trasferita al manicomio la Rosière di Gimel, dove vivrà fino alla fine dei suoi giorni, nel 1964. 
Iniziò a dipingere e a scrivere in segreto poesie e pagine di diario nel 1920, ma la maggior parte del suo lavoro dei primi anni è stato distrutto, poiché – come tradizione – non si pensava che le malate femmina potessero produrre arte.

La strada era già sta aperta nel 1922 da Hans Prinzhorn che aveva affrontato il tema di arte e alienazione, rivalutando anche la creatività femminile.
Il direttore dell'ospedale, Hans Steck, e il medico generico, Jacqueline Porret-Forel, iniziarono così a mostrare interesse nel 1936 e il suo lavoro venne scoperto dal padre dell’art brut Jean Dubuffet nel 1947 che la include nella collezione iniziale sull'arte psichiatrica.

Non ha alcuna preparazione artistica e le sue opere ricalcano le deformazioni tipiche dell’art brut, con una forte connotazione erotica e una dominante di giallo e di rosso. Diventa l'autrice di una cosmogonia personale popolata da personaggi principeschi ed eroine storiche (Mary Stuart, Elisabetta d'Austria o Cleopatra). Usò i colori vividi dei pastelli, delle matite e succo di fiori per riempire interi fogli. La sua compulsione a riempire ogni spazio sul foglio è un "horror vacui" molto simile a quello di Adolf Wölfli.

"Oggi sarebbe improbabile che Aloïse fosse rinchiusa in un istituto", dice Pascale Marini, curatrice della mostra de l'Art brut. “Le sarebbero invece somministrati farmaci e quindi sarebbe priva di un ambiente protetto, che in ultima analisi ha permesso alla sua arte di prosperare.”






KAISER GUGLIEMO II NEL 1915




JEAN DUBUFFET
“L'Art Brut designa opere realizzate da persone indenni da cultura artistica, nelle quali il mimetismo, contrariamente a ciò che avviene negli intellettuali, abbia poca o nessuna parte, in modo che i loro autori traggono tutto (argomenti, scelta dei materiali, tecnica, ritmo, modi di scrittura etc.) dal loro profondo e non da stereotipi dell'arte classica o dell'arte di moda […] Questi lavori creati dalla solitudine e da impulsi creativi puri e autentici – dove le preoccupazioni della concorrenza, l'acclamazione e la promozione sociale non interferiscono – sono, proprio a causa di questo, più preziosi delle produzioni dei professionisti” (Dubuffet, 1971).
Dubuffet raccolse più di 5.000 opere, ne fece nel 1949 una mostra a Parigi, fondò un’associazione, scrisse ed editò dei quaderni, infine regalò la sua collezione alla città di Losanna, dove nel 1976 fu inaugurato un museo-antimuseo



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