UN PROGETTO DI ALFREDO ACCATINO

Viaggio non scontato tra artisti e visionari da tutto il mondo, molto lontano dai soliti 50 nomi. Non esisterebbero le avanguardie senza maestri sconosciuti alla massa (ma certo non a musei e collezionisti). E non si sarebbe formata una cultura del contemporaneo senza l’apporto di pittori, scultori, fotografi, designer, scenografi, illustratori, progettisti, che in queste pagine vogliamo riproporre. Immagini e storie del '900 – spesso straordinarie - che rischiavamo di perdere o dimenticare.


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giovedì 25 aprile 2019

MARIA BLANCHARD “LA STREGA”. DAL CUBISMO AL RITORNO ALL'ORDINE.


Provate a immaginare di prendere una colonna vertebrale e di incurvarla a forza in avanti, e poi, ancora, di lato, come se voleste strizzare un panno bagnato. E, poi, congelarla nel tempo.
Ecco, questo è quello che succede a chi viene colpito da un’alterazione morfologica chiamata cifoscoliosi. In mancanze di cure adeguate comparse solo negli ultimi decenni, camminare diventa penoso, avverti dolori in tutto il corpo e con l’avanzare dell’età iniziano problemi respiratori e cardiaci. Questa è la malattia che Maria si porta dietro di sé, come una condanna, sin dalla nascita, causata forse da una caduta accidentale della madre in gravidanza.
María Gutiérrez Cueto (1881, Santander), è spagnola da parte di padre, e franco-polacca da parte di madre, anche se trascorrerà metà della sua vita a Parigi, per divenire una grande, misconosciuta, protagonista delle avanguardie.
Un talento cristallino, superiore a quello di molti altri pittori cubisti della sua generazione, come Albert Gleizes, Auguste Herbin, Louis Marcoussis, Jean Metzinger. Sicuramente la maggiore interprete femminile rispetto alle altre donne del movimento come Sonia Terk Delaunay, Alice Halicka de Marcoussis, Marie Laurencin.



 


Sin da bambina è la vittima ideale dei compagni di scuola, che la bullizzano e che la chiamano “Bruja” (la Strega) per la basse statura, e perché, per camminare, è costretta a usare il bastone. Il dolore fisico e morale, sarà infatti una presenza costante della sua vita, ma sarebbe errato fermarsi a questo per cercare di inquadrarla, come emerge dalle sue lettere all’amico Andrè Lhote, cariche di ironia, grinta, voglia di vivere. E come sottolinea María Jose Salazar, Conservadora del Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía di Madrid nel catalogo della mostra che ha ripresentato al mondo la sua opera: “Anche se è vero che il suo aspetto è stato un fattore determinante nella sua esistenza, il suo carattere forte e ostinato le ha fatto guadagnare il rispetto dei colleghi, che la hanno sempre trattata alla pari, in un ambiente che all’epoca era comunque dominato culturalmente dagli uomini. Molti dei suoi contributi artistici sono stati però dimenticati per il fatto che alla sua morte, sebbene avesse rapporti con importanti gallerie in Francia e in Belgio, tutte le sue opere furono ritirate dalla famiglia d’origine. Così da rendere difficile diffondere il suo lavoro, condannandolo a un lungo periodo di oscurità.”

Il padre, giornalista e direttore del periodico Atlantico, che proviene da una famiglia dove arti e lettere sono di casa, nota la sua naturale predisposizione e la sprona a disegnare e a entrare nel 1903 alla “Real Academia de Bellas Artes de San Fernando” dove studia sotto Manuel Benedito ed Emilio Sala che le insegna la "precisione" e quell’“esuberante uso del colore" che saranno elementi caratterizzanti delle sue prime composizioni, tanto che di lei Diego Rivera, scriverà addirittura: "Nessun colorista del nostro tempo la supera.”
Il padre, che grande importanza avrà nella sua vita, muore purtroppo nel 1904 e solo grazie a una borsa di studio assegnata nel 1908 dal Comune di Santander che Maria può continuare la sua istruzione artistica all'Academie Vitti a Parigi, sotto gli insegnamenti di Kees van Dongen.
Siamo nell’anno precedente allo scoppio della prima guerra mondiale ed entra a far parte della “Section d'Or”, associazione di pittori e critici d'arte che si identificano in un ramo del cubismo noto come orfismo, termine coniato dal poeta francese Guillaume Apollinaire.
L’arte in un certo senso la affranca, le permette di escorcizzare le sue angoscie, ma anche di frequentare persone libere mentalmente, in uno dei momenti più straordinari del ‘900, stringendo amicizia con Diego Rivera (che probabilmente lei ama, non ricambiata), Jacques Lipchitz, André Lothe. Ma soprattutto Juan Gris, il pittore cubista spagnolo con il quale condividerà i principi estetici, il suo approccio analitico.

Nel 1914, allo scoppio del primo conflitto mondiale, Maria lasciò Parigi per fare ritorno a Madrid, nella casa della madre, dove allestì uno studio che poi divise con alcuni degli artisti conosciuti in Francia. Nel 1915 le sue opere furono presentate a un'esposizione organizzata dallo scrittore Ramón Gómez de la Serna al Museo de Arte Moderno di Madrid, Los pintores íntegros (artisti verticali). Fu poi contattata per insegnare arte a Salamanca, ma delusa dall'esperienza dopo una serie di incomprensioni, nel 1918 decise di trasferirsi - definitivamente a Parigi, buttando il cognome Gutiérrez nella Senna per diventare per tutti solo Marie Blanchard.

Storici come Waldemar George e Maurice Raynal sottolineano tuttavia il forte carattere ispanico che emerge nell’uso dei toni del verde, del nero e del marrone, che prosegue nell’evoluzione del suo lavoro, dalle composizione figurative inziali, per poi passare alla fase cubista, sino al “ritorno all’ordine” del secondo periodo parigino, che la riporta verso uno stile figurativo in cui mantiene la grammatica analitica, mentre la composizione volumetrica e luminosa la avvicina alle opere di Cézanne. Anche se esprime con il passare del tempi, sempre più spesso la solitudine, la perdita, il desiderio, la frustrazione per l'impossibilità di essere madre, come nelle maternità, o nella toccante tela “Prima comunione” 1914-20.

A Parigi viene supportata economicamente dall’amico e mecenate Fank Flausch (1878-1926), ma dopo una serie di mostre tenute in Francia alla Galleria L'Effort Moderne e al Salon des Indépendants e la mostra promossa nel 1921 dal Society of Independent Artists a New York, la richiesta delle sue opere aumenta. Un successo illusorio, che dura pochi anni.
Nel 1926 muore Frank Flausch, l’anno dopo, a soli quaranta anni, l’amico Juan Gris per una crisi renale conseguenza di problemi cardiaci, e Marie cade in uno stato di depressione, per uscire dalla quale si riavvicina alla religione. Pensa addirittura di farsi monaca e di chiudersi in un convento. La sorella Carmen e i nipoti vengono a vivere con lei a Parigi, alleviando la sua solitudine, ma peggiorando la sua già fragile situazione finanziaria.
Riprende a dipingere, ma la salute subisce un ulteriore peggioramento causato dalla Tubercolosi, allonantandola questa volta per sempre dal lavoro.
Muore il 5 aprile 1932 a Montparnasse all'età di 51 anni.

Toccante il discorso “Elegia a Maria Blanchard” con cui Federico Garcia Lorca volle celebrarla all'Ateneo di Madrid nel 1932, a pochi mesi dalla morte:
»(...) La lotta di Maria Blanchard era dura, aspra, nodosa, come un ramo di quercia, eppure non mostrò mai risentimento, ma al contrario, fu sempre dolce, pia e vergine. Ha sopportato la pioggia di risate che ha causato, involontariamente, il suo corpo, da buffone d'opera, e le risate che le sue prime mostre hanno provocato…
»(...) Il combattimento tra angelo e il demonio è stato espresso matematicamente nel tuo corpo.       
 (...) Strega e fata, tu eri un esempio rispettabile di lacrime e chiarezza spirituale.
 (...) Ti ho sempre chiamato “gobba” e non ho detto nulla dei tuoi occhi belli e pieni di lacrime, con lo stesso ritmo con cui il mercurio sale attraverso il termometro, né ho parlato delle tue mani magistrali.
 (...) Gli uomini capiscono le cose poco e io ti dico, María Blanchard, come amico della tua ombra, che hai i capelli più belli che siano mai stati visti in Spagna. "

 














La artista con su alumna Jacqueline Rivière.MICHAEL HOUSEMAN

lunedì 22 aprile 2019

MELA MUNTER. UNA MELA AL GIORNO FA BENE AL CUORE.

Mela Muter è stata il primo pittore ebreo professionista in Polonia, anche se ha vissuto la maggior parte della sua vita in Francia e la sua pittura ricorda, ma non imita, a volte precede, il talento e il segno stilistico di Oskar Kokoschka, Fausto Pirandello e Lucien Freud. Che sembrano shakerati e ricostruiti sulla tela con uno stile, che una volta che impari a riconoscere, non ti sbagli più. Con alcuni artifici che lei porta a divenire il proprio personale “codice visivo”, disfacendo la materia sotto la luce, portando le figure a composizioni che appaiono sempre fuori asse, squintate, quasi mai ortodosse. E i suoi ritratti non ti guardano mai, con occhi che sembrano fatti di vetro trasparente. O che guardano al di là di te, e ti lasciano a disagio.





Muter è lo pseudonimo di Maria Melania Mutermilch (26 aprile 1876 - 14 maggio 1967), la figlia di Fabian Klingsland, ricco mercante ebreo di Varsavia, in una famiglia amante delle arti, che vede suo fratello Zygmunt Klingsland divenire diplomatico e critico letterario. Studia musica, si diploma al liceo e studia pittura, ma si sposa a 23 anni con Michał Mutermilch e ha un figlio. Con lui si trasferisce a Parigi nel 1901 continuando i suoi studi all'Accademia Colarossi e all'Académie de la Grande Chaumière. Nel 1902, inizia a esporre al Salon di Parigie al Salon des Independants, e infine anche in Polonia, riscuotendo successo. Muter diventa una famosa ritrattista a Parigi e collabora con la rivista francese Clarity, divenendo uno dei primi membri noti del gruppo La Scuola di Parigi. Il matrimonio con il marito va in crisi, ha una relazione con lo scrittore francese Raymond Lefebvre e alla sua morte si avvicina al cristianesimo facendosi battezzare nel 1923. Nel ‘24 muore anche suo marito, e cade in depressione, due anni perde anche lo scrittore Rainer Maria Rilke al quale era molto legata. Muter divenne cittadina francese nel 1927. Diventò membro della National Society of Fine Arts e della Society of Modern Artists Women.

Durante l'occupazione tedesca della Francia, Mute si nascose nel sud della Francia. A causa della progressiva perdita della vista smette prgresivamenbte di dipingere, e recpera in parte la vista grazie a un’operazione di cataratta nel 1965.         
Muter è morta nel suo studio a Parigi all'età di 91 anni nel 1967 ed è ora sepolta nel cimitero parigino di Bagneux.









Mela Muter, Portrait of the painter Leopold Gottlieb, c. 1908-

Portrait of Mela Muter with a group of Polish artists in Barcelona. From left to right: Witold Gordon Jurgielewicz, Elie Nadelman, Leopold Gottlieb


domenica 21 aprile 2019

JOSEP DE TOGORES I LLACH. PITTURA IN 3D.








Pareja en la playa


Cercatelo su google immagini, che siano opere su commissione, o ricerca pura, le sue tele sono bellissime in tutti i generi che ha attraversato tra il 1915 e il 1945. Una su tutte: Pareja en la playa (1922), coppia sulla spiaggia, come in tutti i suoi altri quadri di nudi attorcigliati e carne sfrattagliata. Come sanno fare i grandi, vedi Lucien Freud, la sua pittura  diventa fisica e tridimensionale.
Josep de Togores I Llach (Cerdanyola del Vallès, 19 luglio 1893 - Barcellona, ​​17 giugno 1970) è uno dei più celebri pittori catalani. Figlio di Josep de Togores i Muntades, una leggenda del calcio come il Presidente dell'Associazione Foot-Ball Club Barcelona, fondato nel 1899, e cofondatore del quotidiano El Mundo Deportivo, ha un’infanzia agiata e serena, ma a 13 anni viene colpito da una meningite che lo rende sordo. 

Proprio a causa di questo disagio si avvicina alla pittura, inizia la sua formazione artistica con Joan Llaverias, Félix Fernández de la Torre. Una espressività che si è dovuto confrontare negli anni con varie crisi di personalità che si sono riverberate nella diversità degli stili della sua pittura.     
Grazie a una borsa di studio del Comune di Barcellona, ​​si reca a Parigi nel 1907, dove entra in contatto con l'opera di Paul Cézanne e si avvicina alla critica d’arte, iniziando una fase impressionista. Più tardi, a Bruxelles, dipinge un dipinto (El Loco de Cerdanyola) che viene assegnato all'esposizione internazionale di Bruxelles ed è acquistato dal governo belga. Tornato in Catalogna Togores espone nella sala de La Publicidad de Barcelona. Una volta che la Prima Guerra Mondiale è finita, questa volta a Parigi. Una volta finita la guerra, tuttavia, stabilì contatti con gli ambienti intellettuali e artistici della città formando un gruppo con Manolo, Juan Gris, Picasso e altri artisti spagnoli, e incontrò Daniel-Henry Kahnweiler, il mercante d'arte che lo rappresentò per più di dieci anni e gli ha permesso di mostrare lavoro nella famosa Galerie Simon.


Questo è il suo periodo più surreale e sperimentale. Nel 1924 a Parigi, conobbe Antònia Berchtold (1903-2010), austriaca di Innsbruck da cui avrà ha tre figlie, Roser, Teresa e Maria Antònia. Espone a Berlino, nel 1926 a Barcellona (Sala Parés), con successo la sua risonanza, e nel 1928 a Madrid. Durante gli anni Venti iniziando ad essere riconosciuta in Europa e negli anni successivi esplorato vari stili come il Cubismo o accademismo, essere influenzato da avanguardie del tempo e sempre di avere influenze classiche. 
Nel 1932, sempre a Barcellona, ​​si trasferì dalla marcia, iniziando il suo rapporto con Francesc Cambó, che lo proteggeva, e cominciò a dipingere ritratti della società catalana. Nel 1935 espone nuovamente in Sala Parés. Con la seconda guerra mondiale molte delle sue opere scomparvero portando fine alla sua notorietà.
Morì nel 1970 a causa di un incidente stradale, investito a Passeig de Gràcia nel cuore di Barcellona dopo 3 giorni di agonia.











mercoledì 17 aprile 2019

FONTE GAIA. IL SORRISO CHE NON TI ASPETTI.

Il bambino ha zampette di capra e scruta i passanti con aspetto luciferino, anche se dal suo viso emerge un ghigno divertito che non riesce a dissimulare. Sotto di lui, padre Sileno e mamma Ninfa lo sorreggono a mo’ di ponte, ebbri di felicità per quel dono forse inatteso.
Lei, con gli occhi chiusi, assapora questo breve istante. Anzi, sembra pensare e rivedere qualcosa successo molto tempo prima, che la riempie di gioia in un moto di intimo pudore.
Il padre satiro, invece, incurante di essere metà uomo e metà bestia (la scultura va vista veramente a 360°) è fiero di sé ed esprime il massimo della potenza virile. E tutti e due, infine, si fondono con la natura.


Questo straordinario gruppo scultoreo, arricchito alla base da una fontana di conigli (da cui prende il nome di “Fonte Gaia”) accoglie i visitatori al Giardino del Lago, a Villa Borghese. E’ opera dello scultore, molto celebre al tempo, Giovanni Nicolini (1872 -1956) ed è, senz’ombra di dubbio, una delle più belle sculture presenti a Roma, per la maestria dell’esecuzione e per la forza della composizione, che racchiude le tre figure in un quadrato perfetto, ricco di forza e di tensione.

Un’opera che non ha la fama internazionale che in realtà meriterebbe, probabilmente anche a causa della tarda data di esecuzione (1928), che pone tuttavia il gruppo come l’opera che chiude realmente le suggestioni e i riferimenti culturali della cultura liberty. Che termina qui, all’inizio degli anni ’30, e che fa già presagire, sulla ghiaia, il rumore dei passi di marcia dei legionari fascisti.


P.S. nel dicembre 2011, qualcuno, forse la stessa banda di disperati che un mese prima aveva trafugato la testa del satiro sempre a Villa Borghese ha decapitato di notte il bambino, rubando forse per sempre quel sorriso. ...è stata poi ritrovata
Il recupero è stato frutto di un’intensa e costante attività info-investigativa delle Fiamme Gialle del II gruppo, che sono riuscite a circoscrivere e monitorare la zona del presunto occultamento. Quindi l’opera è stata ritrovata con l’aiuto del metal detector nella pineta di Ostia, in località Acque Rosse, prospiciente via dei Pescatori e via Mar dei Coralli, quando era già pronta per essere collocata sul mercato illegale estero. In Italia, infatti, non poteva essere venduta a causa del suo notevole valore, ma soprattutto per la sua notorietà. I ladri, agendo con una sega nella zona posteriore del collo del satirello, avevano provocato il cedimento di una saldatura originale nella zona anteriore del collo e determinato il distacco, lasciando un brandello di metallo sollevato. Anche la figura del fauno maschio adulto presenta profondi graffi all’altezza del collo provocati dal tentativo di seghettatura.

Giovanni Nicolini, scultore autoritratto