Quelli che fanno un affare dell'arte sono per lo più
impostori. Pablo Picasso
1892: nato l’11 settembre in Lituania, figlio di un vetturino, cresco fra 13 fratelli come un fanatico fuoriclasse. Fin dall’infanzia mi sento isolato, nessuno vuol giocare con me. La domenica, quando le ragazze tornano dai boschi con i loro innamorati, mi arrampico sugli alberi, nella penombra, per fare pipì sui loro cappelli e sui loro bei vestitini. Risultato: botte da tutte le parti.
1906: casa di correzione.
1910: evasione. Finiti i risparmi, trovo lavoro in una fattoria. Un giorno il fattore si fa troppo tenero con me a forza di cicchetti e io salto dalla finestra. Tre giorni dopo, il fattore sale nella mia camera con il padrone. Trovano il suo portamonete nascosto sotto il mio pagliericcio. Io reagisco violentemente. Quando arriva la polizia afferro il coltello del formaggio. Mi strangolano quasi con una corda da bucato, manicomio, camicia di forza. Cinque mesi dopo mi lasciano uscire come guarito.
1915: vengo fatto abile per il servizio militare e inviato al fronte. Divento il pagliaccio del reggimento. I medici borbottano: “Tara ereditaria, idiozia, debolezza mentale”. 1917: divento contrabbandiere. Vengo arrestato e ricondotto ancora una volta in manicomio.
1920: Berlino, faccio il guaritore e l’astrologo. Monaco: fondo un circolo spiritistico; è allora che incontro e comincio ad amare una giovane baronessa dotata di conoscenze speciali e internazionali.
1930: di nuovo in una casa di cura per alienati, vi incontro un disegnatore malato che guardo lavorare. Dietro suo consiglio, mi procuro del materiale e comincio a disegnare. 1937: Berlino, pubblica beneficenza.
1944: mi installo nella cantina di una casa diroccata. 1949: le mie gambe si gonfiano di acqua, non posso più infilarmi le scarpe e rimango in casa. È allora che mi ricordo del disegnatore malato che mi ha incoraggiato. Mi butto in questo lavoro con una foga che fino ad allora non mi conoscevo. Ho già fatto un centinaio di fogli quando incontro il professor Kubisczeh che si interessa ai miei lavori. La Galleria Springer acquista i miei venti disegni più belli. La maggior parte dei professori dell’Accademia di Belle Arti di Berlino Ovest mi ha trattato con disprezzo. 1959. Conclusione. Avete spezzato le mie speranze, imbavagliato il mio spirito, torturato la mia anima e adesso, adesso mi chiedete di votare per voi: io voto per me.
Il testo folle, affascinante e forse un po’ furbetto che avete appena letto è l’auto-biografia di Friedrich Schröder-Sonnenstern, pubblicata sul settimanale italiano ABC in occasione una mostra che l’artista alla Galleria La Medusa di Roma nel 1966, che lo inserisce tra una mostra di De Chirico ed una dedicata a Klimt e Schiele. Questa biografia è ovviamente parziale, perché l’autore sarebbe morto nel 1982 e contiene certamente qualche menzogna, come sempre stato nel suo carattere.
Friedrich Schröder-Sonnenstern fu pittore e disegnatore, controverso, rappresentante dell’“Art Brut”, divenuto famoso negi anni 50’ e ’60 prima di essere dimenticato. Un “artista grottesco e lubrico”, lo definì Gillo Dorfles in un articolo del 2013 sul “Corriere della Sera”, in occasione della 55° Edizione della Biennale di Venezia, per la quale Massimiliano Gioni ha selezionato alcune sue opere da inserire nel suo Palazzo Enciclopedico. Schröder (così è il suo cognome originario) nasce a Tilsit, Prussia orientale, ora Lituania, uno di tredici figli, come ha scritto. E’ la scuola che lo conduce nel suo inferno personale: ne cambia una dopo l’altra per il suo comportamento violento con i compagni, per la forte insofferenza verso insegnanti e autorità, prima di essere spedito direttamente in istituto di cura con una diagnosi di sospetta demenza precoce, forse solo autismo.. Ma non rimane a lungo rinchiuso. Va sotto le armi, lavora in un circo, e nel 1919 arriva a Berlino. Ora si occupa di occultismo, divinazione e come imbonitore, di guarigione con il magnetismo presentandosi come il Professor Eliot Gnass von Sonnenstern. Insomma, fa il truffatore, fonda una setta, ma con i proventi aiuta i bambini poveri. Si sente un super-eroe e per questo si è coniato il nome nuovo: Sonnenstern (sole nascente).
Dieci anni dopo lo troviamo che sopravvive vendendo legna da ardere nello Schleswig-Holstein, quando nel 1933 incontra l'artista Hans Ralf che, per primo ne riconosce il talento e che lo incoraggia disegnare. Ma è solo nel 1942, dopo un periodo di carcere e un campo di lavoro durante la seconda guerra mondiale che la sua carriera di artista inizia davvero e all’Esposizione Surrealista a Parigi nel 1959 Jean Dubuffet lo celebra come uno dei più straordinari artisti del 20° secolo. Il successo non vive d’aria. Frederich produce sempre meno, e alla fine ha addirittura un’idea. Perché faticare? Meglio impiegare altre persone per realizzare le opere, che poi firma e vende. Come diceva Gaber: “Ci sono due tipi di artisti: quelli che vogliono passare alla storia e quelli che si accontentano di passare alla cassa.”
Dopo la scomparsa nel 1964 della sua compagna di lunga data, Martha Möller che lui chiamava zia Martha, che lo aveva sempre spinto e stimolato ad andare avanti nel mondo dell’arte, sprofonda nell’alcolismo e nella depressione. Peccato che la vita lo terrà ancorato su questa terra sino al 1982, quando muore novantenne a Berlino. Ben noto agli appassionati di outsider art, le opere di Schröder-Sonnenstern sembrano i prodotti di una mente disancorata dai fondamenti della psicologia normale. Raffigurano figure erotiche e spesso inquietanti, metà uomini metà mostri con il sesso in evidenza, i seni deformi, a volte con becco e artigli. Mangiano, cantano, defecano trasformando gli escrementi in scie e sculture. Usa la matita colorata e ripassa con i colori per dare profondità ai suoi disegni che diventano cicli narrativi: Zynus (1953), Vitanovaseturine (1951-2) oltre a diverse opere sul tema della caduta dell'uomo, tra cui Uschastelynore (1951) e The Snake Seduction (1955). Uomini e bestie a volte si fondono, come se sparisse ogni riferimento spazio-temporale. Le sue opere possono essere state realizzate in qualunque epoca, in qualunque luogo. Alla fine non si capì, se fosse veramente pazzo, se lo fosse stato, o se avesse utilizzato a un certo appunto la sua stravaganza come schermo per vivere, mantenersi, e, in fondo, per fare ciò che voleva. Era stato un truffatore di professione, e se ne vantava. E forse è quello che ha sempre continuato a fare. Si crogiola nel colore, ma non c’è mai vero divertimento nelle sue opere, c’è un continuo senso di paura e di sconfitta a cui il colore non regala l’ombra di un sorriso. Nel 1974 ritorna di nuovo in un ospedale psichiatrico dove dipinge la sua ultima opera: L'eterno femminino ci attira accanto a sé. In una vita che è durata troppo e della quale probabilmente degli ultimi anni avrebbe fatto forse volentieri a meno.
Dopo la scomparsa nel 1964 della sua compagna di lunga data, Martha Möller che lui chiamava zia Martha, che lo aveva sempre spinto e stimolato ad andare avanti nel mondo dell’arte, sprofonda nell’alcolismo e nella depressione. Peccato che la vita lo terrà ancorato su questa terra sino al 1982, quando muore novantenne a Berlino. Ben noto agli appassionati di outsider art, le opere di Schröder-Sonnenstern sembrano i prodotti di una mente disancorata dai fondamenti della psicologia normale. Raffigurano figure erotiche e spesso inquietanti, metà uomini metà mostri con il sesso in evidenza, i seni deformi, a volte con becco e artigli. Mangiano, cantano, defecano trasformando gli escrementi in scie e sculture. Usa la matita colorata e ripassa con i colori per dare profondità ai suoi disegni che diventano cicli narrativi: Zynus (1953), Vitanovaseturine (1951-2) oltre a diverse opere sul tema della caduta dell'uomo, tra cui Uschastelynore (1951) e The Snake Seduction (1955). Uomini e bestie a volte si fondono, come se sparisse ogni riferimento spazio-temporale. Le sue opere possono essere state realizzate in qualunque epoca, in qualunque luogo. Alla fine non si capì, se fosse veramente pazzo, se lo fosse stato, o se avesse utilizzato a un certo appunto la sua stravaganza come schermo per vivere, mantenersi, e, in fondo, per fare ciò che voleva. Era stato un truffatore di professione, e se ne vantava. E forse è quello che ha sempre continuato a fare. Si crogiola nel colore, ma non c’è mai vero divertimento nelle sue opere, c’è un continuo senso di paura e di sconfitta a cui il colore non regala l’ombra di un sorriso. Nel 1974 ritorna di nuovo in un ospedale psichiatrico dove dipinge la sua ultima opera: L'eterno femminino ci attira accanto a sé. In una vita che è durata troppo e della quale probabilmente degli ultimi anni avrebbe fatto forse volentieri a meno.
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