Il materiale ceramico è tanto suadente da costituire una vera trappola per chi lo pratica. Si è sempre tentati di conservare le porosità e le screpolature al taglio del filo, di assecondare le venature occasionali, le striature della mano, le tracce delle cinque dita, gli strappi e le lacerazioni così affascinanti. E poi le affumicature del fuoco, i bei bruni-neri che rimandano alla fucina di un vulcano o ai primordi dell’umanità. Si può parlare così di ritorno alle origini, ... di atto riconciliante con la terra, terra-madre come di un ventre in cui possano placarsi le angosce e le scissioni di un mondo al quale non possiamo chiedere le risposte ultime della vita. Ecco che la ceramica celebra i suoi fasti ... in una sorta di abbandono risarcente, nella piacevolezza di una alta cucina che soddisfa la parte più sensoria di noi. Ma la ceramica non è solo questo. Può anche essere idea e problema che si materializzano, nello spirito di precisione, attraverso una costante elaborazione del materiale grezzo di cui si decantano le virtualità più appariscenti, restituendo alla ceramica la funzione dell’oggetto artistico. Allora diventa limpida terracotta chiara e sonante come una campana, cotta al punto giusto, lascando al caso un margine molto ristretto dove inserirsi. E le tracce del manufare ridanno l’oggetto a se stesso, nel suo essere là, pronto a provocare e sollevare interrogazioni sul come e perché è stato fatto. (Nedda Guidi)
Nedda Guidi è nata a Gubbio nel 1927 ma ha operato a Roma sin dagli anni '50. Artista totale e schiva è considerata una delle più sensibili ceramiste italiane. Una maestra d’arte capace di far convergere artigianato e arte contemporanea. Operando, con Fontana e Leoncillo ha rivalutare una tecnica sino ad allora considerata provinciale e borghese.
Ha lavorato in workshops all'estero: Seoul, Hagueneau, Bechyné Cs, e ha esposto in Svizzera, Germania, Francia, Spagna, Turchia, Giappone, portata dall'amico artista Hiroshi Nakaema.
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