UN PROGETTO DI ALFREDO ACCATINO

Viaggio non scontato tra artisti e visionari da tutto il mondo, molto lontano dai soliti nomi. Non esisterebbero le avanguardie senza maestri sconosciuti alla massa (ma certo non a musei e collezionisti). E non si sarebbe formata una cultura del contemporaneo senza l’apporto di pittori, scultori, fotografi, designer, scenografi, illustratori, che in queste pagine vogliamo riproporre. Immagini e storie del '900 – spesso straordinarie - che rischiavamo di perdere o dimenticare.


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lunedì 10 ottobre 2011

JULES ARMAND HANRIOT. L'IMPRESSIONISTA CHE DIVENNE PAZZO PER AMORE.

Lo so, potrebbe sembrare una forzatura come periodo storico, per un blog dedicato al '900,  parlare di un impressionista. Ma era irresistibile la storia avvolta nel mistero di questo giovane talento che, forse il '900 è riuscito anche a vederlo, senza che il '900 lo sapesse. Ma andiamo per ordine.
Jules Armand Hanriot, nato ad Arpajon nel 1853 fu infatti un famoso pittore, grafico e disegnatore francese. Così talentuoso che, poco più che ventenne, viene scoperto e quasi adottato da Manet, che lo ospiterà addirittura nella propria casa, e che lo farà esporre, con lui, nel 1877 e nel 1880, nel Salone degli Artisti Indipendenti.

Impressionista all'inizio della sua carriera, più oleografico con il passare del tempo, ha un segno sensibile ed elegante, che conquista ben presto il mercato e l'ammirazione dei suoi contemporanei. Il problema è che conquista però, come risulta da alcune lettere, anche la moglie del maestro. Tanto che il maestro, scoperta la tresca, infuriato, lo caccia di casa, minacciandolo addirittura di ucciderlo.

Madame Manet (Suzanne Leenhoff, 1830 - 1906),
in un ritratto del marito Eduard. Alle spalle, Lèon.
E' in questa chiave che la leggenda spiega la sua repentina uscita di scena a Parigi, tanto da indurre numerose biografie e dizionario della pittura a indicare la sua data di morte nel 1887, facendo fede ai commenti che circolarono al tempo.
In realtà, da studi più accurati sembra emegere la verità.
Dopo circa cinque anni di silenzio, ritorna infatti alla vita artistica, esponendo al Salone d'Autunno nel 1910 e nel Salone degli Artisti Francesi, 1920. Ma ha ormai perso l'originalità, la passione, l'amicizia di un grande maestro.
Morirà a Parigi nel 1921, forse chiedendosi se ne fosse valsa la pena.


Interessante questa pregevole tavoletta su legno, una fosca scogliera dei mari del nord, che a differenza delle frequentazioni ricorda il celebre ciclo di Monet. Una ricerca cromatica composta ed elegante che vale una lezione di pittura. 




venerdì 18 marzo 2011

IL QUADRATO NERO DI MALEVICH (Malevič)



"Questo disegno avrà un’importanza enorme per la pittura. Rappresenta un quadrato nero, l'embrione di tutte le possibilità che nel loro sviluppo acquistano una forza sorprendente. 
E' il progenitore del cubo e della sfera, e la sua dissociazione apporterà un contributo culturale fondamentale alla pittura…."
Lettera di Malevich a Matyushin 


Malevich aveva ragione. Malevich ha sempre ragione.
Questa composizione è - a tutti gli effetti - una delle 10 opere d’arte fondamentali del ‘900.
Si chiama "Quadrato nero", è stata realizzata tra il 1914 e il 1915 e rappresenta la prima opera suprematista di Kazimir (o Kasimir) Severinovič Malevič (Казимир Северинович Малевич) - (Kiev 1878 – San Pietroburgo 1935) ed è conservata al Museo Russo di San Pietroburgo, anche se ne esistono alcune varianti.
La cosa incredibile è che, nonostante il suo autore sia oggi considerato uno dei grandi padri dell’arte moderna insieme a Picasso, Duchamp, Mondrian, Boccioni e Kandinsky, Malevič è stato, per più di metà del diciannovesimo secolo, un artista quasi sconosciuto nel mondo occidentale, ancora oggi ignoto ai più.
Russo, ma in realtà ucraino, nato da una famiglia nobile di antichissima genealogia, ma capace di passare lunghi periodo da eremita, come un'altro artista tutto da riscoprire come Pavel Filonov, ha vissuto una esistenza ancora oggi avvolta nel mistero, tanto che venne conosciuto dagli specialisti soprattutto grazie alle 70 opere presentate in una mostra del 1927 a Varsavia.
Memoria nascosta/rimossa per tutto il periodo staliniano - ancora adesso non si sa bene come scrivere il suo cognome (esistono 5 varianti) - aspetta ancora di vedere tradotti e interpretati tutti i suoi scritti. E non tutte le sue opere sono state ancora catalogate, per la gioia dei falsari che hanno invaso il mercato. Comprensibile visto che una sua tela ha raggiunto i 60 milioni di dollari.

Ma perché questo quadro, Il Quadrato Nero, è così importante?
Perché non solo segna la data di nascita di una delle grandi avanguardie del ‘900, sicuramente la più esoterica, ma azzera tutto ciò che era stato prodotto sino ad allora e contiene già in se il secolo che deve ancora venire. Un secolo di innovazione, di ricerca, di provocazione, di disgregazione delle immagini.
Basta una conoscenza superficiale della storia dell’arte per leggerci le intuizioni e le ricerche di Alberto Burri, Mark Rothko (non a caso pittore russo emigrato in America), Franz Kine, Sol Lewitt, Manzoni, Albers, Klein, l’arte povera di Mertz e Kounellis, che sembrano addirittura epigoni. 
Un salto in avanti sorprendente, soprattutto se ti tiene conto che la sua ricerca affonda le proprie radici nella tradizione russa e nel primitivismo dei suoi primi lavori. I dipinti suprematisti di Malevich rappresentano costellazioni di forme in uno spazio bianco. Forme definite da un’algebra elementare che ha un codice primario: il quadrato nero. Il quadrato nero è l'icona del suprematismo. È il simbolo iniziale di un sistema che genera tutte le forme suprematiste e costellazioni mediante un repertorio di distorsioni, spostamenti, moltiplicazioni, allineamenti e sovrapposizioni.


Malevich indicava il 1913 come anno della nascita dell’intuizione del quadrato suprematista, infatti il dipinto che si intitola anche 'la vittoria sul sole' ha il valore dell'inizio. Un sipario che si apre (o che si chiude) sul nuovo e la sua intuizione nasce proprio mentre disegna scene e costumi per l'opera La vittoria sul Sole di Matiushin e Kručënych.
Malevich affermava che la natura non ha significato. Che l’arte deve essere espressione pura. Anzi, che il quadrato nero dovesse essere come un'icona completamente nuda e senza cornice. E fu così che la espose per la prima volta in un angolo della sala della mostra futurista alla "0,10" nella galleria privata Dobycina di San Pietroburgo. In alto, come una icona, perchè irradiasse di luce teologica la stanza.
Il quadrato nero su sfondo bianco, fu un avvenimento per lui creativo, così importante che per una settimana non riuscì a bere, a mangiare, dormire.
Su questa esperienza scrisse: "Il quadrato nero sullo sfondo bianco è stato la prima forma di espressione della sensibilità non oggettiva: quadrato = sensibilità, fondo bianco = il Nulla, ciò che è fuori dalla sensibilità. Eppure la grande maggioranza della gente ha considerato l'assenza di oggetti come la fine dell'arte e non ha riconosciuto il fatto immediato della sensibilità divenuta forma."

Malevic aveva dipinto il suo quadrato nero con piccoli tocchi impressionistici e non con un tiralinee perché voleva che il lavoro della mano dell'uomo si percepisse fin nei tentennamenti e nella deformazione dei bordi del quadrangolo. Non doveva essere una forma lontana, ma generata dall’uomo e dal suo pensiero (...e diciamo che su questo punto l'arte povera ha trovato quantomento un punto di ispirazione). Anche l'effetto cracklé che oggi caratterizza il quadro gli sarebbe piaciuto perché racconta il passaggio del tempo, perché la forma è immutabile, ma è stata segnata dalla storia.

A questo quadrato seguiranno altri quadrati, rossi. Ma anche rettangoli, e croci.
Forme "assolute", libere da ogni descrittivismo naturalistico, che arriveranno all'azzeramento radicalmente puro dei monocromi di un'altra opera fondamentale (Quadrato bianco su fondo bianco, 1919, Museum of Modern Art, New York). Quello che Piero Manzoni avrebbe fatto solo negli anni ‘60 con i suoi achrome.
Malevich dice: il quadrato bianco porta il mondo bianco (la struttura del mondo), affermando la purezza della vita creativa dell’uomo”.
Come i poemi di Ossian, anche questo quadro possiede un'aurea misterica, che lo rende ancora più commovente.

Il "Quadrato nero" sarà esposto il giorno della sua morte nella camera mortuaria nel luogo che lui stesso aveva voluto, nella sua camera, per vederlo ogni giorno. E poi, accanto alla bara che si era disegnato (cercatela in fondo alla pagina).
Come Garibaldi, che in punto di morte, fece portare il suo letto di fronte alla finestra sul mare, nella prospettiva che mostrava la Corsica. E quando la vidi, con il vento che smuoveva la tenda, scoppiai a piangere in una inaspettata Sindrome di Stendhal.
Ognuno, in fondo, cerca l'infinito o la memoria, dove meglio crede.
 
Malevich’s self-designed tomb






Forse non ha nulla a che affare con tutto questo, ma selezionando queste immagini mi è venuta in mente questa poesia di Borges:

Le cose
Le monete, il bastone, il portachiavi,
la pronta serratura, i tardi appunti
che non potranno leggere i miei scarsi
giorni, le carte da gioco e gli scacchi,
un libro e tra le pagine appassita
la viola, monumento d'una sera
di certo inobliabile e obliata,
il rosso specchio a occidente in cui arde
illusoria un'aurora. Quante cose,
atlanti, lime, soglie, coppe, chiodi,
ci servono come taciti schiavi,
senza sguardo, stranamente segrete!
Dureranno più in là del nostro oblio.
Non sapranno mai che ce ne siamo andati.


“Per suprematismo intendo la supremazia della sensibilità pura nell'arte. Dal punto di vista dei suprematisti le apparenze esteriori della natura non offrono alcun interesse; solo la sensibilità è essenziale. L'oggetto in sé non significa nulla. L'arte perviene col suprematismo all'espressione pura senza rappresentazione" 

Kazimir (o Kasimir) Severinovič Malevič i
 Казимир Северинович Малевич, in lingua ucraina Казимир Северинович Малевич, Kazymyr Severynovyč Malevyč 
(Kiev, 23 febbraio 1878 – Leningrado, 15 maggio 1935)  

Kazimir Malevich teaching students of UNOVIS, Vitebsk, 1925


Il quadrato non è una forma del subconscio. E' la creazione di ragione intuitiva. Il volto della nuova arte. Il quadrato è un neonato vivo e reale. 
E' il primo passo di creazione pura nell'arte.
Malevich
 

Museo Russo, San Pietroburgo
Kazimir Severinovich Malevich. Table 1. Formula of Suprematism 1913


 
Vytautas Kairiukstis, Suprematist Composition, 1922
L'essenziale di un maestro lituano, del tutto sconosciuto.

 

LAJOS KASSAK IL FUTURISTA COMUNISTA.


Hugo Scheiber, Lajos Kassak, Bela Kadar. 
Questo il nome dei tre maestri ungheresi che per primi hanno portato l’esperienza futurista in Ungheria e nei paesi dell’est Europa, divenendo di fatto una cerniera di esperienze e di visioni tra Italia e Russia a partire dalla metà degli anni '10.

Lajos Kassák (Ersekujvar 1887 – Budapest 1967) è stato un poeta, uno scrittore, un editore, ma soprattutto un artista. 
Nato da una semplice famiglia di operai, dopo disordinati studi da autodidatta parte per venire a lavorare in Italia. Ed è qui, quasi casualmente, che conosce Filippo Tommaso Marinetti, comprende a pieno la propria vocazione artistica e aderisce alle linee guida del movimento.
Questo rapporto tra uomini, macchine, velocità, questa sinestesia te compenetrazione tra tecniche e linguaggi lo affascina. Cerca quindi di declinare questa visione con le sue convinzioni socialiste, scontrandosi ben presto con i collettivi politici sia durante il periodo di Bela Kun sia nei primi anni del regime comunista.
Nel 1915 edita le riviste A Tett (interdetta nel 1916 per la sua impostazione internazionalista e antimilitarista), e MA (Oggi, 1916), che diventerà l'organo principale del movimento attivista. 
Ma Kassak si spinge oltre, e apre un dibattito che da culturale diventa politico e sociale, considerato pericoloso per la sua carica anticonvenzionale.
Dal 1920 AL 1926 è così costretto a vivere in esilio a Vienna e una volta rientrato proseguì la sua attività attraverso le riviste Dokumentum (1926-27) e Munka ("Lavoro", 1928-38) sostenendo le lotte del movimento operaio e l'avanguardia artistica. 
Dopo la guerra, sotto il governo filosovietico, la sua attività viene fortemente limitata. Una situazione che penalizza molti degli artisti della sua epoca, da Moholy Nagy ad Albert Nagy, rendendolo di fatto un recluso in un mondo che non riconosce più, prigioniero della stessa ideologia.
Cos’altro dire? Ah, sì. Che era un grandissimo visionario. Uno di quelli che, purtroppo, non si citano mai. Perchè, per farsi notare, occorre fare grandi botti.



UMBERTO MARIA CASOTTI. DAL SECONDO FUTURISMO ALLA NUOVA FIGURAZIONE.


Dal secondo futurismo Umberto Maria Casotti apprese soprattutto l'arte della scomposizione dei colori. Per farli diventare un pentagramma con il quale poter raccontare mondi interiori e paesaggi dell'anima. Un pittore che, nonostante il debutto avanguardista, non sognava la rivoluzione, ma che affrontava ogni quadro con l'ingenuità di un neofita e con la sapienza di una grande preparazione tecnica e storico-artistica. Come si evince in questo nudo della fine degli anni '40, che sembra voler coniugare neoplasticismo e cultura italiana. Che ricorda una bagnante di Ingres, ma che già anticipa il trattamento pittorico di un suo coetaneo come Renato Guttuso che, come lui, spesso annullerà i segni del viso per comunicare una compartecipazione dello stesso osservatore.

Nato a Taranto nel 1919, figlio di un noto incisore studia a Venezia e si trasferisce a Roma subito dopo la seconda guerra mondiale. 
Dopo la giovanile adesione futurista (parteciperà anche alla II Rassegna Nazionale), poco più che trentenne viene scoperto dal gallerista e talent scout Bruno Sargentini che lo porterà ad esporre alla Galleria "L'Attico" di Piazza di Spagna: passepartout per entrare nel mercato e nelle attenzioni dei critici. 
Partecipa così a tre Quadriennali e a una Biennale di Venezia e un suo quadro viene scelto per l'esposizione della mostra Italia e cultura nel mondo. a "Nuove tendenze dell'Arte Italiana" alla ROME-NEW YORK Art Foundation in Roma.



Numerose le mostre collettive e personali: 1969, Galerie O. Landwerlin, Strasburgo; 1969, "Panorama della grafica in Italia, 1966-1969", Civitanova Marche"; 1970, Galleria "Il foglio", Roma; 1971, galleria polyimnia, Rapallo; 1972, Galleria AL2, Roma; 1972, galleria Rizzoli, Roma; 1972, maison d'art alsacienne, Mulhause; 1974, galleria della trinità, Roma, 1976, Kama studio, Roma. Negli anni '70, nel pieno delle maturità, non riesce però a rinnovare il proprio linguaggio e soffre sempre di più della contestazione, che lo coglie a sorpresa anche al liceo artistico di Via Ripetta di Roma, dove è docente insieme a Mino delle Site. La riscoperta del Futurismo deve aspettare ancora molti anni (questa volta è lui ad essere considerato un passatista), e la sua pittura viene definita superata e borghese. La sua attività si riduce e Casotti, si richiude in se stesso.

Morirà a Roma nel 2000.




lunedì 7 marzo 2011

MARIO CHIATTONE, PIU' CHE FUTURISTA ANTESIGNANO DEL FUTURO


Mario Chiattone (1891 - 1957) non è mai stato futurista.
E' vero, frequentava Brera in quegli anni, sia seguendo i corsi de l'Accademia che della Scuola Applicata del Libro. Ha vissuto con Sant'Elia, con il quale divideva squadre e lucidi, nel modesto studio milanese e che frequentò con lui la Wagnerschule.
Ha partecipato alle prime mostre Nuove Tendenze, scritto nel 1919 il saggio Architettura Futurista. Usciva con Carrà, Boccioni, Marchi, Romani, Bonzagni e Dudreville. Ma non era futurista nel senso ideologico del termine.
E la cosa più incredibile, che pur essendo stato uno dei più grandi visionari europei in campo architettonico e urbanistico, molti pochi lo conoscono, se non gli addetti ai lavori. Anche se le sue opere sono esposte al Moma di New York. Anche se non può essere pubblicata una storia dell'architettura senza ospitare almeno uno dei suoi progetti utopici.


Mario Chiattone in un dipintuni

Eppure, quando ci sono le grandi rassegne dedicate al movimento, e le sue opere compaiono vicino a quelle di Sant'Elia, quando la città del futuro lanciano il loro urlo, i visitatori rimangono muti ad ammirare le visioni di ciò che è avvenuto e che sta avvenendo nelle nostre città.
Torri, grattacieli, ascensori esterni, enormi prese d'aria.

Un'occhio che ha saputo leggere la conquista tecnologica, che preannuncia i disastri dell'architettura anni '70, gli incubi dell'architettura realista sovietica, ma anche le intuizioni dell'urbanistica degli anni '2000.
Alla morte dell'amico nel 1922 Chiattone si trasferisce in Svizzera, dove abbandona il linguaggio della ricerca e sprofonda lentamente nel sonno della cultura borghese e in un'attività di routine per la ricca classe locale che rende irriconoscibile il suo essere stato "al di là del proprio tempo" divenendo espressione di un tiepido "ritorno all'ordine" e della stessa neutralità della nazione che lo ospita e che diventerà la sua casa.
Per questo, al di là delle tante parole, ci piace ricordarlo - e forse presentarlo a molti - solo con i suoi progetti. Incredibili.

costruzioni per una metropoli moderna, 1914



venerdì 18 febbraio 2011

ERIKA LUDWIG. L'ARTISTA CHE NON POTE' CONTINUARE A SOGNARE.


Erika Ludwig, classe 1903, tedesca di famiglia austriaca, ha attraversato la scena dell'arte come una meteora, bruciando in poco più 10 anni, tra il 1925 e il 1938 il palcoscenico europeo. 




Giovane promessa della scuola d'arte di Monaco, grazie a una borsa di studio parte per Parigi, luogo di espressione libera e anarchica che finisce per esaltare il suo animo ribelle. E qui che deciderà vivere a lavorare, alternando la sua attività di artista con quella di disegnatrice di moda (ma anche di tessuti e di accessori), arrivando a realizzare collezioni di foulard sia per Dior che per Schiaparelli, collaborando anche Paul Selthenhammer (l'inventore del gonnellino di banane di Josephine Baker) nella realizzazione di costumi e bozzetti per il Paris Music Hall e poi per il Palast di Berlino.

Dopo un avvio post impressionista (paesaggi e scene di città) viene coinvolta nel clima delle avanguardie, e inizia a realizzare, alla fine degli anni '20, una serie di straordinari disegni ad acquarello,  grotteschi e pre-surrealisti, popolati da un mondo di personaggi fantastici. Come in questo "odalisca", proveniente dal suo taccuino di appunti dispersi negli anni '80 a Parigi nel corso di un'asta  che, paradossalmente, la fece riscoprire (lo stesso Jean Cocteau aveva acquistato alcuni dei suoi disegni) prima di tornare ad essere dimenticata per sempre.

Ma torniamo all'epilogo di questa storia, che mischia l'arte a una vicenda personale. Quando nel 1938 Erika sta iniziando ad affermarsi, la tragica fine di un amore, la morte del padre e la paresi della madre, la portano a dover abbandonare precipitosamente Parigi e a tornare in Germania, dove verrà travolta dalla guerra. Di lei non si hanno più notizie ufficiali e risulta dispersa nel corso del bombardamento di Dresda del 1945, dopo essersi rifiutata di lasciare da sola la madre, impossibilitata a muoversi. Anche tutte le sue opere sono andate disperse.
 
Bombardamento di Dresda 12- 15 febbraio 1945

mercoledì 9 febbraio 2011

MARCELLO SCARANO, MOLISANO, PITTORE, PITTORE.


Marcello Scarano (1901-1962) è stato il maggiore pittore molisano del ‘900. Punto.
Nato a Siena, da un critico letterario, torna diciassettenne a Campobasso per frequentare i corsi di pittura di Nicola Biondi. Pensa di non tornarci più, e invece la vita, lo continuerà ad attrarre verse le sue radici.
A Pisa frequenta medicina che poi abbandona per trasferirsi a Roma nel 1922 dove frequenta gli artisti e i luoghi di ritrovo degli intellettuali. 


La prima mostra personale risale al 1926, a Campobasso. Nel 1930 partecipa alla mostra del Sindacato Fascista di Belle Arti, quindi espone a Firenze. Premi e riconoscimenti diventano sempre più frequenti, e frequenti sono anche le sue partecipazioni ad esposizioni in Italia (Roma, Cremona, Milano, Napoli). Nel 1942 è invitato alla XIII Biennale di Venezia. Tornerà poi a vivere a Campobasso, dove rimarrà, in isolamento, sino al 1962.

La sua linea narrativa lo porta a lavorare su quattro temi: i ritratti, il paesaggio, il lavoro contadino, il sacro.
I paesaggi molisani gli daranno notorietà, tanto da vincere il premio speciale “Triennale di Milano” che porterà anche all’esposizione di Hannover. Ma è forse nel ritratto che Scarano riesce a dare il meglio di sé, come in questo toccante autoritratto dell’inizio degli anni ’50. data spartiacque anche per un certo modi di intendere la pittura. Una capacità retrospettiva che coniuga l'approfondimento psicologico con la ricerca sulla materia. Un ritratto che diviene specchio di una vita e manifesto di un modo di vivere e di intendere l’arte.

Così scrisse di lui al poeta Giuseppe Jovine, nel 1985, il critico Giulio Carlo Argan.
…il materiale fotografico che mi hai mandato non mi permette certo un’analisi approfondita ma mi ha dato una idea precisa della singolarità, del talento e anche dell’attualità dell’opera del pittore di Campobasso. Se non fosse vissuto così isolato nel suo Molise avrebbe certamente potuto trovare più di un punto di contatto con i movimenti artistici…. Anche così, tuttavia, la sua opera merita senza dubbio più che una rievocazione in ambito provinciale: mi pare quindi giusto ed opportuno che venga organizzata una sua ampia mostra in ambito nazionale. La sede più appropriata sarebbe naturalmente la Galleria Nazionale d’Arte Moderna a Roma…  Come già ti ho detto non sarebbe soltanto un contributo alla storia dell’arte molisana ma italiana….

NDR - Quella mostra non si è mai tenuta.

domenica 6 febbraio 2011

CIURLIONIS. UNO DEI PADRI DELL'ASTRATTISMO, DEL SIMBOLISMO, DELLE AVANGUARDIE. LO SAPEVATE?


Chi avesse varcato le porte del Palazzo Reale di Milano in occasione della prima grande mostra dedicata all'artista in Italia, nel 2011 (la seconda rassegna in Europa dopo quella del Musée d'Orsay a Parigi), avrebbe scoperto che la storia dell'arte, se ancora avesse avuto dubbi, è stata scritta dai mercanti.

Mikalojus Konstantinas Ciurlionis (Varena 1875 – Pustelnik 1911) è stato un artista e un musicista raffinato e innovativo, morto troppo presto, troppo lontano dal cuore economico dell'Europa, ma che nell'arco di 5 anni, tra il 1904 e il 1909, ha fatto più lui per l'arte del '900 che 20 accademie  rinomate.
Un artista etereo ed elegante, capace di osare l'astratto prima dello stesso Kandinskj e di codificare il simbolismo, a metà strada tra Nabis e avanguardie. Però era lituano, quindi, non contava praticamente nulla nel grande gioco dell'arte.
Per comprenderne meglio la complessità, lasciamo un commento a Michele De Luca, che di lui ha scritto in occasione della mostra meneghina:

Ciurlionis è stato un grande pittore e musicista lituano; all'età di tre anni si trasferisce con la sua famiglia a Druskininkai, dove trascorre la sua infanzia. All'età di sette anni impara, per merito del padre musicista, a leggere la musica senza fatica, e intraprende la sua formazione musicale al Prince Oginsky's Orchestra School (dal 1882 al 1893), imparando così il flauto e altri vari strumenti, per poi studiare, nei successivi sei anni pianoforte e composizione al Conservatorio di musica di Varsavia e in questo periodo incomincia anche ad interessarsi a scienze naturali, storia e letteratura. Durante la sua permanenza al conservatorio, compone "De Profundis", una cantata per coro e orchestra sinfonica. Nella capitale polacca, scopre ben presto anche il suo forte interesse per la pittura e si iscrive, dapprima al Kauzik's Drawing School e poi all'Accademia di Arte. Fu molto importante, per le sue opere, la nuova visione che egli sviluppò per la Bibbia e, comunque, per tutte le religioni in generale.
Ben presto i suoi dipinti vengono esposti in importanti mostre, ma, nonostante che la sua popolarità cresca immediatamente e la sua arte desti grande interesse ed attenzione, non vede migliorare la sua condizione economica; questa situazione di quasi indigenza lo portò ad una crescente instabilità mentale che fu causa del suo internamento, nel 1909, in un manicomio. A ciò si aggiunse, al suo rilascio, anche uno stato di progressivo malessere fisico che lo portò ad una morte improvvisa il 10 aprile 1911. Ciurlionis è stato un singolare esempio di sinesteta suono-colore, perché aveva la qualità di riuscire a percepirli contemporaneamente, come è chiaramente dimostrato dalla sua carriera e dai nomi stessi che dava alle sue opere artistiche. Considerato nel suo paese uno dei fondatori dell'arte moderna, è pressochè sconosciuto nel resto del mondo, a eccezione della Francia che gli ha dedicato nel 2000-2001 al Musée d'Orsay una prima grande retrospettiva.
È merito dunque di una importante mostra al Palazzo Reale di Milano – la prima in assoluto nel nostro paese -, curata da Gabriella Di Milia e Osvaldas Daugelis (su iniziativa della Fondazione Mazzotta che ne ha curato anche il catalogo), dieci anni dopo dell'esposizione parigina, di riproporre questo eccezionale personaggio, esponendo un'ottantina tempere e pastelli su tela o cartoncino del maestro, oltre a trenta acquarelli, chine e disegni, fotografie e molti documenti (tra cui una raccolta di lettere inedite) provenienti da un tempio "segreto" dell'arte moderna, cioè il Museo Nazionale di Belle Arti di Kaunas in Lituania. "Un viaggio esoterico" - questo il titolo della mostra - viene dunque a colmare una lacuna, ma anche a saldare un debito verso un artista straordinario quanto insolito e misterioso per la sua pittura, per la singolarità delle sue visioni, dipinte «furiosamente, dimenticando se stesso, senza concedersi tregua». Condensata in soli sette anni (dal 1902 al 1909), la sua opera influenzò molti pittori a lui contemporanei e fu apprezzata da Stravinskij e dal Premio Nobel per la letteratura Romain Rolland, che nel 1930 ammirò le riproduzioni di suoi quadri sulla rivista russa "Apollon". A sua volta Kandinskij, colpito da alcuni dipinti di Ciurlionis esposti a San Pietroburgo, scrisse nel 1910 all'artista lituano per invitarlo alla mostra della Nene Künstlervereinigung di Monaco, ma la lettera giunse con tale ritardo che Ciurlionis perse l'occasione di farsi conoscere al di fuori del suo paese. Spirito solitario dell'arte, divenne famoso per le sue "visioni d'altri mondi", che pochi ebbero la fortuna di conoscere prima che venissero finalmente mostrate a Berlino durante il Festival d'autunno del 1979.
Un'opera di Frantisek Kupka, l'artista al quale più si avvicina.