Ogni volta che vedi una foto, c’è qualcuno che l’ha scattata. Ogni volta che vedi un ritratto, c’è qualcuno che l’ha dipinto. E il soggetto osserva te. O qualcosa che non vedi, che forse è alle tue spalle, che spesso non saprai mai.
Questo tema mi affascina, e affascinava alcuni autori rinascimentali, e che avevano inserito nel quadro uno specchio, come Jan van Eyck nel ritratto dei Coniugi Arnolfini (1434).
Così Velasquez inserisce il re Filippo IV e la Regina Mariana di Austria che osservano la scena (reverse shot) de Las Meninas (Le damigelle d'onore) del 1656. E tanti autoritratti, a partire da Escher, rimandano il controcampo, il tasto che oggi sui palmari trasforma la reltà oggettiva in selfie.
Un gioco intellettuale di rimandi che un artista concettuale come Giulio Paolini sfruttò per l’opera “Giovane che guarda Lorenzo Lotto”, 1967. Fotografia su tela emulsionata. Ineceppibe da un punto di vista semantico.
Ecco perché condivido con voi qualche cambio di punti di vista. Nel tempo. Come la foto (campo e controcampo) di prigionieri tedeschi nel 1945 obbligati a vedere per la prima volta un film con le immagini dei campi di concentramento nazisti. Straordinarie le reazioni di imbarazzo, dolore, vergogna, ma anche la posa riflessiva di uno di loro. Tutta da leggere e da interpretare…
prigionieri tedeschi nel 1945 obbligati a vedere
per la prima volta un film con le immagini dei campi di concentramento nazisti
1929. le riprese del ruggito della MGM
Batman e Robin sul set ,1966
Parmigianino, autoritratto con specchio convesso, 1566
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