Se si dovesse stilare l’insolita classifica degli artisti italiani
del ‘900 più quotati in aste internazionali (con quotazioni superiori ai
125.000 dollari) e paradossalmente meno noti al grande pubblico, probabilmente
Andrea Tavernier entrerebbe nella top five. Un artista raffinato, frequentato
solo da intenditori, che giustamente lo considerano uno dei più puri e anomali
maestri del Divisionismo. Presente con posizioni di prestigio alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di
Roma, alla Galleria d‘Arte Moderna di
Torino, al Museo Revoltella di
Trieste, alla Fondazione San Paolo di
Torino.
Un maestro umile, più attento a dipingere che a promuoversi,
capace di raccontare con vibrante luminosità paesaggi e scene di vita
quotidiana, da lui rilette con una nuova chiave interpretativa. Del resto, il
teorico del divisionismo, così scriveva sulla filosofia che doveva
caratterizzare il nuovo movimento: “Compito
dell'artista non è quello di copiare letteralmente tutto ciò che si vede, ma è
una funzione intellettiva sulle forme e i colori del vero... L'artista deve
anzitutto rinunciare alla speranza di ritrovare nel mondo esteriore il quadro
già composto. La verità dell'arte è lontana dalla contraffazione del vero.” (Gaetano
Previati)
Quello che colpisce di più del lavoro di Tavernier è inoltre
un sorprendente uso della luce, che man man si evolve, passando dalla “scultura
cromatica” di taglio verista delle grandi tavole degli esodi, che reinterpretano
la lezione di Segantini e di Pelizza da Volpedo (opere figlie dell’800), a
quadri di formato sempre più ridotto, ma sempre più preziosi. Nei quali egli dipinge
direttamente con l’effetto della luce (ed è qui che si manifesta il ‘900), sino a farla diventare il
soggetto reale dei suoi quadri, che solo apparentemente ritraggono un bosco,
uno scorcio di chiesa, i viali di un parco e che sempre di più si disinteressano del dettaglio, della perfezione formale, della scientificità di rappresentazione. In una sorta di ritorno alle origini della pittura.
Un percorso mentale che, a dispetto dei suoi maestri, lo rende protagonista anche di questo secolo. Tanto che Roberto Melli, grandissimo pittore della scuola romana, ma anche critico, e poeta, di lui scrisse nel 1952: “Come un novello Prometeo, da secoli densi e bui, ci ha portato la luce e l'ha messa nelle sue opere, affinché brilli, vibrante, nella riservatezza di una stanza, fermando per sempre, e solo per noi, l’ora di un giorno ormai perduto per l'eternità.”
Un percorso mentale che, a dispetto dei suoi maestri, lo rende protagonista anche di questo secolo. Tanto che Roberto Melli, grandissimo pittore della scuola romana, ma anche critico, e poeta, di lui scrisse nel 1952: “Come un novello Prometeo, da secoli densi e bui, ci ha portato la luce e l'ha messa nelle sue opere, affinché brilli, vibrante, nella riservatezza di una stanza, fermando per sempre, e solo per noi, l’ora di un giorno ormai perduto per l'eternità.”
Nato a Torino
nel 1858, allievo di Gastaldi all'Accademia Albertina di Torino, Andrea Tavernier esordisce come
paesista alla Promotrice di Torino
nel 1884, presentando molti lavori “di montagna”, realizzati prevalentemente in Val d’Aosta. In
seguito dimora a lungo sia a Roma, presso Filippo Laccetti, che sulla costa adriatica. Partecipa a Parigi
all'Exposition Universelle del 1900 (medaglia d’oro), nonché alle Biennale d'Arte di Venezia del 1899 e del
1922, che gli dedicò una personale di 36 opere. Diviene infine "professore aggiunto straordinario"
all'Accademia Albertina, dal 1897 al 1903.
Dopo il 1909 torna definitivamente a Roma, dove inizierà a
dipingere suggestive immagini dei colli e della campagna romana. Soprattutto i
dintorni di Grottaferrata, Squarciarelli e dei Castelli, che diventeranno di fatto la sua
nuova casa. Paesaggi oggi ricercatissimi tra i collezionisti, che ne leggono il
punto di congiunzione tra l’800, il divisionismo, il post impressionismo, la
pittura en plein air e gli umori nervosi di un secolo in piena deflagrazione.
Morirà a Grottaferrata (Roma) il 16 novembre 1932.
Morirà a Grottaferrata (Roma) il 16 novembre 1932.
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