UN PROGETTO DI ALFREDO ACCATINO

Viaggio non scontato tra artisti e visionari da tutto il mondo, molto lontano dai soliti 50 nomi. Non esisterebbero le avanguardie senza maestri sconosciuti alla massa (ma certo non a musei e collezionisti). E non si sarebbe formata una cultura del contemporaneo senza l’apporto di pittori, scultori, fotografi, designer, scenografi, illustratori, progettisti, che in queste pagine vogliamo riproporre. Immagini e storie del '900 – spesso straordinarie - che rischiavamo di perdere o dimenticare.


Seguiteci anche ogni mese su ARTeDOSSIER
https://www.facebook.com/museoimmaginario.museoimmaginario

https://www.facebook.com/Il-Museo-Immaginario-di-Allfredo-Accatino-487467594604391/




mercoledì 20 maggio 2015

ARTURO NATHAN. CONCENTRAZIONE. CONCENTRAMENTO.

-->
Dovunque mi fossi trovata, sul ponte di una nave o in un caffè di Parigi
o a Bangkok, sarei stata sotto la stessa campana di vetro,
a respirare la mia aria mefitica.
Sylvia Plath

Autoritratto a occhi chiusi, 1926
Arturo Nathan nasce a Trieste a Piazza Oberdan nel 1891, deportato a Bergen Belsen per le sue origini ebraiche, morirà di fame nel campo di concentramento di Oflag V-B Biberach nel 1944.
Perché qualcuno debba soffrire e morire perché appartiene a qualcosa, o crede in qualcosa, non per quello che fa, ma per quello che è, non riuscirò mai a comprenderlo. Ma questo, è un altro discorso.

Fragile emotivamente, simbolista, rarefatto per stile espressivo, cosmopolita per formazione e visione, Arturo Nathan è stato accostato a De Chirico e alla Metafisica, aree d’influenze che lo avevano fortemente colpito nel suo soggiorno romano e al Realismo Magico di matrice europea. Nella sua vita ha prodotto poche opere - oggi ne sopravvivono solo una ottantina - mentre molte sono andate disperse nel bombardamento a Trieste, verso la fine della guerra, della casa e dello studio.
E’ un artista ondivago, cerebrale, ostico, che predilige scene poco commerciali di rovine e naufragi, che non ha prodotto, a mio parere, sempre opere di livello assoluto. Correggo, non ha prodotto opere sempre di un livello espressivo e formale pari ai suoi due autoritratti, di tristezza e intensità siderale: Autoritratto con gli occhi chiusi 1925, e l’Asceta, 1927, sintesi di grande pittura, delle letture filosofiche di tutta la vita e della frequentazione, in anni precocissimi, con la psicoanalisi (entrò in analisi nel 1919) in un tessuto sociale, a Trieste, che lo fanno essere più europeo che italiano.  
Immagini, però, che, alla luce della sua storia personale, chiamano a letture ancora più dense.


E’ figlio di un solido commerciante Italiano vissuto da giovane in India e in Cina dal quale eredita la cittadinanza inglese. E’ alto quasi un metro e novanta, magro, allampanato, vestito in maniera lontana dai canoni del tempo, insomma, in città è considerato un tipo bizzarro. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale si rifiuta di combattere e, sfruttando la sua doppia cittadinanza, presta servizio militare come Obiettore di Coscienza a Porstmouth, sulla costa meridionale dell’Inghilterra.
Quando torna a casa appare depresso e privo di forze. Passa le giornate a letto, e alla sorella Daisy non fa che dire: "La vita xe una fogna".
A Trieste, Edoardo Weiss, amico e seguace di Freud, il medico che introduce la psicoanalisi in Italia, lo prende in cura e lo incoraggia a dedicarsi alla pittura per combattere il suo disagio, un po’ come al suo concittadino Zeno/Svevo il Dottor S. consiglia di scrivere un diario come strumento della terapia. Forse lui stesso, come Zeno Cosini, il protagonista del romanzo,  “…proviene da una famiglia ricca, vive nell'ozio e in un rapporto conflittuale con il padre. Nell'amore, nei rapporti con familiari e amici prova un costante senso di inadeguatezza, di "inettitudine", che interpreta come sintomi di una malattia. In realtà, solo più tardi, scoprirà che non è lui a essere malato, ma la società in cui vive..”
Weiss studiò scrupolosamente il “disordine dell'Io” di coloro che chiedevano un consulto, spesso reduci della Grande Guerra e che, per potere incontrare i loro cari, dovevano prima essere sottoposti ad esami clinici presso l'Ospedale psichiatrico perché spesso sofferenti da “psicosi belliche” e nevrosi isteriche.
Il Caso Nathan viene sottoposto allo stesso Freud in una lettera: “..in quel tempo stavo analizzando un giovane pittore sofferente di una depressione non-melanconica che si esprimeva anche nei soggetti dei suoi quadri: rovine e cadaveri animali… “ Il pittore risultava insomma un ragazzo introverso, tranquillo, studioso rivolto più al "mondo interno" e incapace di affrontare la praticità della vita. La sua personalità si scontra con quella del padre, commerciante dedito ai suoi affari, e con quella della madre, donna comprensiva e accogliente con la quale ebbe un legame profondo destinato a cambiare continuamente.
Freud non ebbe dubbi e rispose così: “Dalla eccellente descrizione teorica del Suo paziente posso solo dedurre che può trattarsi di una “depressione semplice” […] direi che si tratti di una semplice fissazione materna.”

Ma torniamo in presa diretta.
Arturo si laurea in filosofia e da autodidatta, anche se frequenta i liberi corsi dell’Accademia del Nudo, inizia a dipingere e a legarsi ad ambienti culturali come quello de la rivista Trieste e poi La Voce di Giuseppe Prezzolini e Giovanni Papini. Conosce e frequenta Umberto Saba, Leonor Fini, Carlo Sbisà, pittore anche da lui riscoprire, e lo stesso Italo Svevo.
Nel 1921 apre lo studio, e in pochi anni riesce a farsi apprezzare tanto da esporre alla Biennale di Venezia già nel 1926. Vi esporrà ancora nel 1928, nel 1930 e nel 1932.
L'opera “l'incendiario” viene acquistato per la collezione del Museo d'arte Moderna di Mosca, e si trova oggi all'Hermitage di San Pietroburgo. Espone poi alla Galleria Milano di Vittorio Barbaroux, e viene notato da Giorgio de Chirico. Partecipa anche a due edizioni della Quadriennale di Roma.

Verso la fine degli anni Trenta, con l'emanazione delle leggi razziali, Nathan come tanti ebrei italiani subiscono soprattutto uno choc culturale e avvertono un forte senso di tradimento. Smette di dipingere a olio e si dedica solo a disegni e a brevi composizioni poetiche.

In quanto ebreo e inglese viene inviato al confino, nelle Marche, dove esegue solo pastelli, preziosi e luminosissimi. Da lì sarà incarcerato a Carpi, forse c’è ancora modo di salvarlo.
Racconta la sorella Daisy: … avevamo un amico nella polizia fascista che per salvarlo si era offerto di falsificare i documenti, ma Arti (Arturo) si rifiutò, non lo trovava dignitoso. Nel 1944 venne deportato in Germania, prima nel campo di sterminio di Belsen, poi a Biberach, dove è morto di fame il 25 novembre 1944 (ma anche per gli esiti di una gangrena a una gamba, ferita mentre è ai lavori forzati n.d.R.).
Quando sono arrivati gli alleati, al primo cucchiaio di minestra, è spirato. Mia madre, invece, era nascosta all'ospedale di Trieste, ma qualcuno deve aver fatto la spia, così l'hanno presa e portata ad Auschwitz, dove è morta. Io sono l'unica a essersi salvata.”

E' incredibile quanto poco si sappia sulla morte delle persone, se non un luogo e una data.


 

L'esiliato, 1928

















3 commenti:

  1. È stato a confino nelle Marche a Falerone in casa di mia madre che all'epoca aveva una piccola osteria.
    Mi raccontava spesso di questo artista, di come gli salvò la vita nascondendolo in soffitta all'arrivo dei tedeschi.

    RispondiElimina
  2. È stato a confino nelle Marche a Falerone in casa di mia madre che all'epoca aveva una piccola osteria.
    Mi raccontava spesso di questo artista, di come gli salvò la vita nascondendolo in soffitta all'arrivo dei tedeschi.

    RispondiElimina
  3. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

    RispondiElimina