Ero poco più di un bambino quando mio padre, che esponeva
anche lui alla X Quadriennale di Roma, mi portò all’ultimo piano del Palazzo delle
Esposizioni per accompagnarlo a vedere la mostra di Mario Cavaglieri.
Correva il 1973. Non capivo molto, ovvio, ma mi ricordo queste grandi tele, questi interni di appartamenti
ricchi e raffinati, superfici brulicanti di segni e il colore che vi si
aggrumava, creando rigonfiamenti, bolle e strati che andavano ad accentuare la
trama dei tappeti o delle tende. Il contorno degli abiti.
Una cosa così non la avevo mai vista prima, e mi colpì moltissimo.
Perché quello che percepisci quando vedi un’opera dal vivo,
sono prima di tutto le dimensioni (che nel suo caso erano decisamente importanti) che i libri
e la rete non sanno trasmettere. E la “materia” stessa della pittura. Così,
magari scopri che pittori famosi, che amavi per la forma o l’idea, sono in
realtà “pittori” meno virtuosi di quanto ci si aspettasse. Che il Guernica è lungo quasi 8 metri, e
Vermeer solo pochi centimetri.
Non lo sapevo, ma quella era la prima antologica che era stata dedicata a
Cavaglieri, che lo riproponeva al grande pubblico.
Da allora, altre rassegne si sono ripetute, ma non è mai
riuscito a divenire un pittore noto e di massa. Anche se, non credo, che fosse proprio
questo quello che gli interessava.
Eppure la sua pittura è affascinante e un po’ ruffiana, molto
dandy e decadente. Soprattutto le tele degli anni 10’ e ’20, che gli fanno legare
impressionismo e secessione, liberty e arte moderna, rileggendo e contaminando
le ricerche parallele di Bonnard, Vuillard, di Matisse e dei Fauves
Mentre decanta una vita fatta di parole e gesti, che molto
ignora degli stenti della vita quotidiana, in un mondo che sembra uscito da alcune scenografie di Visconti e Zeffirelli.
Mario Oddone Cavaglieri nasce a Rovigo nel 1887, la città
meno veneta del Veneto, da una famiglia decisamente benestante, originaria di
Venezia. Si trasferisce poi a studiare a Padova, dove diventa compagno di
scuola di Felice Casorati, sotto le direttive del pittore Giovanni Vianello, che
evidentemente deve essere stato un ottimo insegnante e un uomo fortunato.
Dal 1909 e nel 1912 figura con opere alle mostre a Ca’
Pesaro, a Venezia, per poi arrivare alla Biennale
di Venezia, dove figurerà ininterrottamente fino al 1924. Ma la sua fortuna, da mondano, e da pittore, è quella di scoprire
l’Europa, in Germania, e in Francia, per poi stabilirsi a Pavie-sur-Gers,
presso Auch in Guascogna, in una bella villa al centro di una vasta tenuta di proprietà.
In questa casa passò tutta la vita, alternando lunghi soggiorni a Parigi (esponendo quasi ininterrottamente al Salon d’Automne a
Parigi) e in
Italia, cercando poi si sfuggire le persecuzioni razziali della seconda guerra mondiale.
Il filo conduttore della sua
esperienza è la presenza di Giulietta, che frequenta dal 1911, e che sposerà
nel 1921 a Piacenza, alternando esposizioni e mondanità
In Francia il ritmo della vita cambia, Cavaglieri, scopre i
temi agresti e i colori del tempo, perdendo in parte la sua linea di novità.
Dipinge ogni giorno senza altro bisogno che dipingere, in un clima di
spensieratezza che solo gli anni della guerra infrangeranno. Nella sua doppia
identità di ebreo e di italiano, decide di partire per l’Italia, ove si crede
protetto, ma dovrà presto ricredersi. Gran parte della sua famiglia viene
deportata, mentre egli è obbligato ad errare di città in città. Tornato in Francia,
invecchierà in silenzio in una quieta vita di campagna. Ada
Masoero scrive: "Forse, oltre all'ascesa del fascismo, a indurlo al ritiro
in Francia fu la consapevolezza della fine dell'epoca di cui era stato
interprete così felice, cantore di quel mondo opulento che nell'alta borghesia
europea perpetuò rituali e mode degli anni scintillanti della Belle Époque sino
al primo dopoguerra.
Nel 1948, nel 1950 e nel 1952 fu presente alla Biennale di
Venezia.
Nel 1953, per invito di C. L. Ragghianti, gli venne
allestita una grande mostra alla “Strozzina” di Firenze.
Morirà a Pavie-sur-Gers il 23 settembre 1969, propro quando
i Led Zeppelin finiscono di incidere
il loro primo Album. Ma non si trattava sicuramente di qualcuno della nobile
famiglia Von Zeppelin che Mario aveva conosciuto un bel po’ di anni prima.
Autoritratto |
Interessanti anche le influenze che probabilmente Mario ha generato, come questo bellisima opera Pyotr Konchalovsky - Portrait of Vsevolod Meyerhold 1938 Immagini |
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