… Padova, 1863. Una mattina, sotto un cielo color cenere, una giovane
ragazza saltò nelle acque fangose del fiume che scorreva dietro l’ospedale cittadino. Non conosciamo il nome, soltanto che lavorava come
cucitrice, che ha 18 anni, e che il suo suicidio è dovuto a una delusione
d’amore. Un triste ma anonimo episodio, uno di quelli che la Storia è incline a
dimenticare – se non fosse accaduto, per così dire, nel posto e nel momento
“giusti”.
Un post che sintetizzo e rubo a Bizzarro
Bazar, splendido blog, che vi invito a scoprire bizzarrobazar.com. La città di Padova era sede di una delle più antiche Università della
storia, riconosciuta come la culla dell’anatomia. Fra gli altri,
vi avevano insegnato medicina Vesalio, Morgagni e Falloppio; nel 1595
Girolamo Fabrici d’Acquapendente vi aveva fatto costruire il primo teatro
anatomico.
Nel 1863, la cattedra di Anatomia Patologica era occupata da Lodovico Brunetti (1813-1899), il quale aveva messo a punto un suo personale metodo per preservare gli esemplari anatomici: la tannizzazione (vedi scheda sotto).
Quando Brunetti seppe del suicidio della giovane, chiese che gli fosse portato il corpo, per i suoi esperimenti. Per prima cosa realizzò un calco in gesso del volto e della parte superiore del busto. Poi rimosse la pelle dalla testa e dal collo, facendo particolare attenzione a preservare la bella chioma dorata della ragazza. Una volta salvata la pelle dalla putrefazione, la stese sul calco in gesso che riproduceva i tratti somatici della giovane donna, e aggiunse alla sua creazione occhi in vetro e orecchie di gesso. Ma qualcosa non andava. L’anatomista si accorse che in diversi punti la pelle era lacerata. Erano gli strappi lasciati dagli uncini, usati dagli uomini per trascinare il corpo fuori dall’acqua, sull’argine del fiume. Brunetti, che evidentemente doveva essere un perfezionista, ricorse allora a un’ingegnosa trovata per mascherare quei segni. Piantò rametti vicino al busto e vi attorcigliò attorno serpenti tannizzati, posizionando attentamente i rettili come se stessero divorando il viso della ragazza. Fece colare cera rossa per simulare degli spruzzi di sangue, ed ecco fatto: una perfetta allegoria della punizione riservata all’Inferno a coloro che avevano commesso il peccato mortale del suicidio. Chiamò questa sua composizione La suicida punita.
Nel 1863, la cattedra di Anatomia Patologica era occupata da Lodovico Brunetti (1813-1899), il quale aveva messo a punto un suo personale metodo per preservare gli esemplari anatomici: la tannizzazione (vedi scheda sotto).
Quando Brunetti seppe del suicidio della giovane, chiese che gli fosse portato il corpo, per i suoi esperimenti. Per prima cosa realizzò un calco in gesso del volto e della parte superiore del busto. Poi rimosse la pelle dalla testa e dal collo, facendo particolare attenzione a preservare la bella chioma dorata della ragazza. Una volta salvata la pelle dalla putrefazione, la stese sul calco in gesso che riproduceva i tratti somatici della giovane donna, e aggiunse alla sua creazione occhi in vetro e orecchie di gesso. Ma qualcosa non andava. L’anatomista si accorse che in diversi punti la pelle era lacerata. Erano gli strappi lasciati dagli uncini, usati dagli uomini per trascinare il corpo fuori dall’acqua, sull’argine del fiume. Brunetti, che evidentemente doveva essere un perfezionista, ricorse allora a un’ingegnosa trovata per mascherare quei segni. Piantò rametti vicino al busto e vi attorcigliò attorno serpenti tannizzati, posizionando attentamente i rettili come se stessero divorando il viso della ragazza. Fece colare cera rossa per simulare degli spruzzi di sangue, ed ecco fatto: una perfetta allegoria della punizione riservata all’Inferno a coloro che avevano commesso il peccato mortale del suicidio. Chiamò questa sua composizione La suicida punita.
Se questo fosse quanto, Brunetti potrebbe sembrare una sorta di psicopatico,
e il suo lavoro sarebbe inaccettabile e spaventoso, sotto qualsiasi prospettiva
etica. Ma la storia non finisce qui. Dopo aver completato il suo capolavoro, la
prima cosa che fece Brunetti fu mostrarlo ai genitori della ragazza. E qui le
cose prendono una piega davvero inaspettata. Perché i genitori della morta,
invece di essere scioccati e orripilati, gli presentarono i loro complimenti
per la precisione mostrata nel riprodurre le fattezze della loro figliola.
“Sono riuscito a conservare la sua fisionomia tanto perfettamente – annotava
orgoglioso Brunetti – che tutti hanno potuto riconoscerla”. Ma aspettate, c’è di più. Quattro anni
più tardi, apriva a Parigi l’Esposizione Universale, e Brunetti chiese
all’Università di assegnargli dei fondi per portare la sua Suicida punita in
Francia. Ci aspetteremmo qualche tipo di imbarazzo da parte dell’Accademia, e
invece non vi furono problemi a finanziare il viaggio a Parigi. All’Esposizione
Universale migliaia di spettatori, provenienti da tutto il mondo per ammirare
le ultime innovazioni tecnologiche e scientifiche, videro la Suicida punita.
Cosa pensate che successe a Brunetti allora? Il suo lavoro causò forse uno
scandalo, venne forse criticato o esecrato? Non proprio. Vinse il Grand Prix
per le Arti e i Mestieri.
Se a questo punto avvertite una leggera vertigine, be’, probabilmente fate bene. Considerando questa sconcertante storia, rimaniamo con due opzioni soltanto: o tutti nel mondo intero, Brunetti incluso, erano palesemente pazzi; oppure dev’esserci un enorme scarto di percezione fra il nostro sguardo sulla morte e quello della gente dell’epoca. Mi colpisce sempre come non ci sia bisogno di allontanarsi troppo sull’asse temporale per provare questo tipo di vertigine: gli eventi di cui parliamo risalgono a meno di 150 anni fa, eppure fatichiamo a capire come ragionavano i nostri bis-bisnonni. Certo, gli antropologi ci ricordano che la rimozione culturale della morte e la medicalizzazione del cadavere sono processi avvenuti in tempi relativamente recenti, cominciati all’incirca a inizio Novecento. Ma finché non ci troviamo faccia a faccia con un “oggetto” difficile come questo, non riusciamo veramente ad afferrare la distanza abissale che ci separa dai nostri antenati, l’intensità di questo cambiamento di sensibilità. La Suicida punita è, in questo senso, un complesso e meraviglioso indizio di come i confini culturali e i tabù possano variare nell’arco di un brevissimo periodo di tempo. Perfetto esempio di intersezione fra arte (che incontri o meno il nostro gusto moderno), anatomia (serviva in fin dei conti a illustrare una tecnica conservativa) e sacro (in quanto allegoria dell’Aldilà), è uno dei reperti più impegnativi tra i molti ancora visibili nel Museo “Morgagni” di Anatomia Patologica di Padova.
Se a questo punto avvertite una leggera vertigine, be’, probabilmente fate bene. Considerando questa sconcertante storia, rimaniamo con due opzioni soltanto: o tutti nel mondo intero, Brunetti incluso, erano palesemente pazzi; oppure dev’esserci un enorme scarto di percezione fra il nostro sguardo sulla morte e quello della gente dell’epoca. Mi colpisce sempre come non ci sia bisogno di allontanarsi troppo sull’asse temporale per provare questo tipo di vertigine: gli eventi di cui parliamo risalgono a meno di 150 anni fa, eppure fatichiamo a capire come ragionavano i nostri bis-bisnonni. Certo, gli antropologi ci ricordano che la rimozione culturale della morte e la medicalizzazione del cadavere sono processi avvenuti in tempi relativamente recenti, cominciati all’incirca a inizio Novecento. Ma finché non ci troviamo faccia a faccia con un “oggetto” difficile come questo, non riusciamo veramente ad afferrare la distanza abissale che ci separa dai nostri antenati, l’intensità di questo cambiamento di sensibilità. La Suicida punita è, in questo senso, un complesso e meraviglioso indizio di come i confini culturali e i tabù possano variare nell’arco di un brevissimo periodo di tempo. Perfetto esempio di intersezione fra arte (che incontri o meno il nostro gusto moderno), anatomia (serviva in fin dei conti a illustrare una tecnica conservativa) e sacro (in quanto allegoria dell’Aldilà), è uno dei reperti più impegnativi tra i molti ancora visibili nel Museo “Morgagni” di Anatomia Patologica di Padova.
Pieter Paul Rubens Testa di Medusa (1617-1618) |
Il
metodo della tannizzazione fu proposto da Lodovico Brunetti nel 1867 e
nello stesso anno ricevette un premio all’Esposizione Internazionale di
Parigi. Il procedimento consiste in una prima fase di dissanguamento del
letto vascolare iniettando nelle arterie acqua per lavarlo, etere solforico per sgrassare,
soluzione di acido tannico, sciolto in acqua distillata, per
“tannizzare”, e aria compressa asciutta e calda per prosciugare i
tessuti.
Molti sono i reperti trattati con questo metodo, prevalentemente
troviamo preparati dell’apparato cardiovascolare come aneurismi
dell’aorta e dell’apparato scheletrico come feti dicefalici o feti gemellari toracopaghi.
Il metodo della tannizzazione, a causa della sua complessità, non
ebbe quella diffusione che per i risultati raggiunti avrebbe meritato.
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