“Cosa cerchi?”
“Cerco un attimo che valga una vita”.
Giacomo Casanova
Arnaldo
Badodi è nato a Milano nel marzo 1913 ed è morto a Kamenskoye, in Russia, nel
1943, a soli 30 anni, dopo essere stato ferito ed essere stato rispedito al
fronte. Dopo aver combattuto da eroe una guerra che considerava ingiusta e
stupida, fronteggiando proprio quell’armata messa a difesa di un’ideologia che,
probabilmente, osservava dall’Italia, da ragazzo, con interesse e
partecipazione.
Destino
curioso per un antifascista, o forse comune, a quei tempi, a molti caduti e
dispersi in battaglia. Anche se non lo sapremo mai.
Badodi era
un artista sensibile e colto, nato da una famiglia della piccola borghesia
milanese. Diventa allievo di Aldo Carpi all’Accademia
di Brera, della quale in seguito, giovanissimo, diventerà lui stesso
docente e con il quale nel tempo intratterrà un continuo epistolario.
Da un
punto di vista storico dal 1934 entra a far parte del movimento Corrente insieme a Renato Birolli, Aligi
Sassu, Fiorenzo Tomea, Giacomo Manzù, Giuseppe Migneco, con il quale divise lo
studio, e con Lucio Fontana che parteciperà alla seconda mostra del gruppo, ma
che è ancora alla ricerca della propria identità.
Il
movimento, nasceva intorno alla rivista mensile Giovanile, diventata poi Corrente
di Vita Giovanile, fondata dal diciassettenne Ernesto Treccani, finanziato
dal ricco e potente padre Giovanni, senatore e fondatore dell'Istituto
Treccani. Si contrapponeva alla cultura ufficiale, puntando allo svecchiamento
dell'arte italiana: antinovecentista in estetica, antifascista in politica.
Arnaldo
che è il più giovane, vuole dipingere in un modo diverso in un’Italia “dove
tutti dipingono uguale”.
Basti
vedere la tela che nel 1939 gli fa vincere il premio Gavazzi di Brera: la Battaglia di Milazzo (oggi nel Museo del
Risorgimento di Milano). Un dipinto caotico e pieno di passione, secondo me non
uno dei suoi migliori, molto affine per spirito militante a quello che, nel
dopoguerra, avrebbe dipinto Guttuso, La Battaglia di Ponte dell'Ammiraglio 1951/52. Anche questo dedicato
alle imprese garibaldine. Segno di una volontà di contrapposizione, di lotta,
che ha bisogno anche di simboli per potersi esprimere compiutamente.
La sua
pittura, in un conformismo formale di pose ieratiche, splendide linee nette e
grandi cicli murali, diventa materia viva. Arnaldo preferisce le tonalità delle
terre, vuole comunicare in maniera diretta, al limite dell’ingenuo. Rende
poetico persino un armadio, eleva a icona una sedia con i vestiti appesi sopra,
racconta vicende di omini al bar, di tavoli di casa, di persone comuni. Le
uniche, dirà, che vale la pena raccontare.
Raffaele
De Grada, presentando una sua personale alla “Bottega di Corrente” nei primi
del 1941 lo definisce "il più contenutista dei pittori di Corrente",
ma la sua pittura onirica e commovente lo avvicina a Scipione (Gino Bonichi),
altro autore dimenticato, che morirà a ventinove anni di tubercolosi e a Mario
Mafai. Ma anche all’ironia di Charlot, come individua il critico Marco
Valsecchi: “…un’ironia charlottiana
profondamente patetica, fatta di quell’incrocio indistinto fra sorriso e
compatimento che Charlot espresse in maniera indimenticabile nella famosa danza
dei panini nella Febbre dell’oro o negli ultimi fotogrammi del Circo, quando
l’omino è solo sulla strada infinita”.
Nel 1938 partecipa alla Biennale
di Venezia, cosa impensabile oggi per un ragazzo di 25 anni, che ora può
solo darsi appuntamento davanti a un locale di birre artigianali. Si presenta
con opere dense di oscuri presagi, come Il
suicidio del pittore, un artista-pupazzo impiccato, a cui fa corona il
compianto degli amici, sotto il corpo, ancora legato al cappio.
Nel 1941, oltre alla mostra alla Bottega di Corrente, produce due personali (Galleria di Genova -
Casa degli Artisti di Milano) e al Premio Bergamo. Ma nel maggio del 1942 viene
richiamato alle armi e parte per la Russia con il grado di tenente nel 3°
Bersaglieri.
Rimane ferito in combattimento, tanto che è proposto sul
campo per una medaglia al valore. Dopo un'ultima lettera dell'11 dicembre 1942
non darà più sue notizie. Viene dapprima considerato disperso, giunge poi la
notizia della sua morte e la ricostruzione delle sue ultime ore. Morto per
tifo, nel marzo del 1943, presso l'ospedale russo di Kamenskoye, dopo essere
stato fatto prigioniero nella Battaglia del Don. Muore in quello che potrebbe
essere considerato il buco del culo del mondo, un paesino della Kamchatka che
vanta oggi 655 abitanti e un record di freddo di -55.
La Biennale di Venezia
gli dedicherà nel 1948, una retrospettiva curata dal critico che
maggiormente gli fu vicino, Raffaele De Grada.
A Milano gli hanno dedicato anche una strada vicino a
Lambrate, Via Arnaldo Badodi, che fa una curva e poi si ferma a Piazza Caduti e
Dispersi in Russia.
Tutto torna.
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Arnaldo Badodi Il suicidio del pittore, 1937
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Badodi, 1939 |
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Guttuso 1952 |