Una casa, un albero. Una casa, un albero. Un segno ripetuto e continuo nella pittura di Carlo Carrà (Quargnento, 11 febbraio 1881 – Milano, 13 aprile 1966) un pittore italiano che aderì al futurismo e poi alla corrente metafisica, ma che rimanse sempre legato a una visione personalissima e fortemente riconoscibile. E che fece proprio di questa cifra formale uno dei propri segni distintivi del periodo figurativo. Ce ne siamo accorti sfogliando la bella monografia "La matita e il pennello" e poi la sua autobiografia (dove in copertina ritorna ancora una volta l'immagine della casa e dell'albero), e poi andando a ricercare in rete immagini e riferimenti tra musei, aste e collezionisti. Ce ne siamo accorti per caso, ma quando abbiamo voluto approfondire il tema non abbiamo trovato che altre voci critiche abbiano sottolineato questa unica linea che unisce alcuni dei disegni giovanili (come qui sotto) ad opere simbolo del periodo metafisico (pino e mare del 1921, qui sopra), caratterizzando decine di pezzi.
Un rapporto forse spiegabile nell'unione simbolica del rapporto tra raziocino (edificio, dunque progetto e tecnica) e la natura (la forza della vita, irrazionale e anarchica). Oppure come ben ha analizzato la psicologia infantile, nel rapporto che i disegni dei bambini rivelano: la casa (vista come la madre) l'albero (letto come il padre).
Un rapporto panico che abbiamo riscoperto anche nella pittura dei primitivi italiani (Giotto e Cimabue) che Carrà assunse come paradigma espressivo. Ipotesi che forse svelerebbe una pittura ancora più colta di quanto non vorrebbe apparire. Trasformando così ogni paesaggio in una dichiarazione inespressa.
Sepo (Severo Pozzati) - (Comacchio, 1895 - Bologna, 1983) 1915
Nessun commento:
Posta un commento