UN PROGETTO DI ALFREDO ACCATINO

Viaggio non scontato tra artisti e visionari da tutto il mondo, molto lontano dai soliti nomi. Non esisterebbero le avanguardie senza maestri sconosciuti alla massa (ma certo non a musei e collezionisti). E non si sarebbe formata una cultura del contemporaneo senza l’apporto di pittori, scultori, fotografi, designer, scenografi, illustratori, che in queste pagine vogliamo riproporre. Immagini e storie del '900 – spesso straordinarie - che rischiavamo di perdere o dimenticare.


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sabato 30 settembre 2017

PHILADEPLHIA WIREMAN. UNKNOWN.

L’arte, una volta, era solo un’esigenza, poi assunse una funzione finalizzata al confronto con la natura e con gli spiriti che la guidano. Era una esigenza quando il primo uomo o la prima donna raccolse un ciottolo che aveva una forma umana e lo portò con sé per centinaia di km, lo fu poi per fini magici, sacrali, scaramantici, per millenni.
Può essere anche ora, come nella storia ritrovata sul sito Outsiderartnow. La storia di Philadelphia Wireman, il nome dato a un artista senza nome, creatore di 1.200 piccole sculture tridimensionali, meglio dire artefatti urbani, scoperti da Robert Leich in una strada di Philadelphia alla fine degli anni ’70. 
 
 
È stato un caso che queste opere siano sopravvissute” spiega il collezionista e gallerista John Ollman a The Huffington Post “…probabilmente ci saranno centinaia di altri artisti il cui lavoro è sotterrato da cumuli di spazzatura." L’istinto creativo è un elemento potente, ma se non è realizzato in un sistema ‘formale’, si lega ad una difficile questione di sopravvivenza“. Oggetti di uso comune, scarti manipolati, danno vita ad assemblages di puro astrattismo, plasmati con forza. Un’armatura metallica diviene così il supporto per oggetti di differente tipologia: plastica, vetro, imballaggi, ombrelli, nastri, gomma, batterie, penne, cuoio, riflettori, dati e bulloni… E’ come se un atto violento li trasformasse in qualcosa di diverso, tanto da non avvicinarsi all’arte ma un vero e proprio atto sacro. O a una forma compulsiva e rituale.
Nel 1999, un visitatore della galleria Fleisher/Ollman ha riconosciuto questi lavori confermando di aver visto un uomo di colore costruirli sulla sua veranda, nella zona in cui furono poi ritrovate le opere, quartiere storicamente “nero”. Ollman ha inoltre notato una forte relazione tra queste sculture e i Nkisi, oggetti dotati di poteri, tipici della tradizione congolese, realizzati nell’arco di centinaia di anni, che consistono in figure di legno e chiodi che, spuntando in tutte le direzioni, come nelle ampolle della memoria.
Feticci dunque, presenti ancora oggi in zone dell’Africa, per magia nera, o il contrario, per protezione.
Nessuno ne ha rivendicato la paternità.
 
 
Nkisi


Benin, woodo

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