UN PROGETTO DI ALFREDO ACCATINO

Viaggio non scontato tra artisti e visionari da tutto il mondo, molto lontano dai soliti nomi. Non esisterebbero le avanguardie senza maestri sconosciuti alla massa (ma certo non a musei e collezionisti). E non si sarebbe formata una cultura del contemporaneo senza l’apporto di pittori, scultori, fotografi, designer, scenografi, illustratori, che in queste pagine vogliamo riproporre. Immagini e storie del '900 – spesso straordinarie - che rischiavamo di perdere o dimenticare.


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sabato 23 settembre 2017

GUSTAV ADOLF MOSSA, IL PITTORE CHE TEMEVA LE DONNE

Uno degli aspetti più caratterizzanti del simbolismo tra ‘800 e ‘900 è stato quello di rappresentare, anzi di voler creare il mito de “la donna fatale”, dove il fato è da intendersi come pulsione mortale verso la quale il destino ci conduce, come caso maligno che può cambiarti la vita.
Questo idolo di perversione esiste e l’icona si chiama Elle (Lei) e venne dipinta dal pittore simbolista francese Adolf Mossa nel 1905. 
La figura principale è un nudo femminile con i capelli castani e grandi occhi apparentemente dolci e tristi.

”…Partiamo dall'alto. Ci sono due corvi in entrambi i lati della testa, come se i capelli fossero un nido, un uccello del malaugurio, che sta proteggendo tre piccoli teschi orientati in tre direzioni diverse, un'allegoria del tempo: passato, presente e futuro… È la fine dei tempi? Probabilmente.

Un’aura dorata le circonda il capo. Ma, potrebbe essere Elle un santo? Niente affatto, probabilmente si tratta di un elemento blasfemo.

Il volto pallido, gli orecchini e la collana indicano che la donna potrebbe appartenere alla aristocrazia vittoriana, quindi contemporanea al pittore…. Arriviamo fino in fondo, dove si trova l'indizio dell'interpretazione del dipinto: la vetta è una montagna fatta da cadaveri umani, probabilmente di sesso maschile. Rispetto ai corpi umani, Elle è un gigante, senza dubbio l'incarnazione di un mostro cattivo, forse la Bestia dell'Apocalisse,  l'incarnazione di tutto il male per gli uomini…”.


La beffa è che Gustav-Adolf Mossa, nato a Nizza nel 1883 morirà nel 1971, in tempo per vedere il ’68 francese e le lotte per la liberazione della donna, che forse aveva così temuto.
Figlio del pittore Alexis Mossa (1844-1926), autore di numerosi manifesti per il Carnevale di Nizza e dei progetti dei suoi famosi carri ed extravagances, ha subito una forte influenza paterna, tale da differenziarlo dagli altri pittori simbolisti, e probabilmente cambiarne il corso della vita. Visionario, forse meno attento alla tecnica di altri suoi colleghi, mette in scena le sue visioni, realizzando praticamente in meno di 20 anni, dal 1900 al 1918 il corpus del suo lavoro, che sarà scoperto e rivalutato solo dopo la sua morte, negli ultimi vent'anni del ‘900.


E’ bello, un po’ metrosexual. Dopo gli studi a Nizza, l’Esposizione Universale del 1900 lo esalta, dipinge, scrive poesie, commedie e poi sceneggiature.
Sua madre è italiana, e anche lui parla italiano, e viaggia a lungo in Italia, anche con il padre con cui è legato da un legame fortissimo, e con il quale collabora a progettare numerose edizioni del Carnevale di Nizza.
Si sposa nel 1908, espone, ma costretto a partire per la I Guerra Mondiale, viene gravemente ferito. Inizia a cambiare stile, e nel 1918 si lascia dalla moglie.
Nel giro di pochi anni muore la madre, il padre, e smette quasi di dipingere, accettando di succedere al padre come curatore del Museo di Belle Arti di Nizza. Dopo la morte della seconda moglie, si sposerà nuovamente nel 1956 con Marie-Marcelle Butteli, che soprannominò "Violette".
Le sue composizioni spesso drammatiche, i disegni quasi grotteschi, analizzano le situazioni di vita denotano una continua analisi psicologica, nella quale riferimenti a miti, favole si mischiano a pulsioni sessuali e psicoanalitiche, Eros e Thanatos, forse una non dichiarata omosessualità.
Ma la sua è una grande pittura, affascinante.

Pierrot se ne va, 1905


Carnevale di Nizza, 1910

1 commento:

  1. Scusi, ma l'illustrazione sopra alla foto del "Carnevale di Nizza" non è di Jean Delville?

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