UN PROGETTO DI ALFREDO ACCATINO

Viaggio non scontato tra artisti e visionari da tutto il mondo, molto lontano dai soliti 50 nomi. Non esisterebbero le avanguardie senza maestri sconosciuti alla massa (ma certo non a musei e collezionisti). E non si sarebbe formata una cultura del contemporaneo senza l’apporto di pittori, scultori, fotografi, designer, scenografi, illustratori, progettisti, che in queste pagine vogliamo riproporre. Immagini e storie del '900 – spesso straordinarie - che rischiavamo di perdere o dimenticare.


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venerdì 1 gennaio 2016

NICOLAS DE STAËL - LA MORTE ARRIVA DA UNA TELA BIANCA




Non manca mai a nessuno una buona ragione per uccidersi.
Cesare Pavese
 


A me piace raccontarlo come il pittore della concretezza (della materia) e della rarefazione. Come concreto era il fisico da gigante picchiatore e inquieti, perennemente lontani e sempre tristi i suoi occhi di Nicolas de Staël.
Figlio di una pianista russa e del generale e barone Vladimir de Staël-Holstein della stessa famiglia della celebre Madame de Staël, Nicolas De Staël (San Pietroburgo, 1914 - Antibes, 1955) è stato un pittore russo naturalizzato francese.
Come tanti famiglie nobili, durante la Rivoluzione Bolscevica si trasferiscono in Polonia. Ma la ricerca della felicità è altrove. Dopo la morte di entrambi i genitori tra 1920 e il 1921, Nicolas e le sorelle vengono accolti presso la famiglia russa Fricero di Bruxelles che, di fatto, li adotta.
Studia arte alla Accademia e inizia a viaggiare per l’Europa e in Marocco, dove a Djema El Fna a Marrakech conosce Jeannine Guillou, anche lei pittrice, e se ne innamora. Nel 1939 presto servizio presso la Legione Straniera e quando torna, nel 1940 decide di stabilirsi a Nizza insieme a Jeannine.



Paradossalmente la disgrazia familiare coincide con l’inizio del suo successo, favorito anche dalla ripresa economica del dopoguerra. Nicolas inizia a esporre e incontra i primi successi di critica in Europa e negli Stati Uniti.
Il suo colore-materia trasforma oggetti e paesaggi in forme primarie. La sua pittura viene realizzata con campi cromatici stesi con la spatola. E’ colore e materia allo stesso momento, che ricorda incredibilmente le opere dello svedese August Strindberg (1849-1912) un visionario dimenticato come artista, e ricordato solo come drammaturgo, che nel 1900-1901 realizzava opere astratte dello stesso sapore. Un perdente anche lui, che vi chiedo di andare a riscoprire.

Jeannine Guillou, poco prima della morte

Dopo le composizioni cupe e tetre degli anni ’40, ora Nicolas inizia a scoprire il colore e sembra placarsi, anzi, addirittura divertirsi,
Un episodio inaspettato lo fa riavvicinare al figurativo. Nel 1953 assiste a un incontro di calcio allo stadio di Parigi "Parc des Princes" e rimane talmente impressionato dallo spettacolo della partita e dalle forza delle immagini da voler ricreare quel mondo e quella tensione dinamica.

Nell’autunno del 1954 lascia la famiglia e va a vivere ad Antibes, sul mare.  Come scrive Francesco Castiglia: “Quello di Antibes è il più alto e poetico approdo del lavoro di De Staël, ma anche l´estremo. Il pittore, in una delle sue lettere datate il giorno del suicidio, confida infatti a un suo amico di non avere più la forza per finire i suoi quadri. Ha passato tutta la vita a liberarsi dalla materia scura e grumosa; con tenacia è arrivato a comprendere cosa sia la luce in pittura. Tuttavia, è una scoperta che lo sconvolge e lo impossibilita a continuare. Il suo percorso creativo tormentato e sofferto è arrivato al suo punto più alto, estremo e irreversibile. Un punto di non ritorno, un imperativo che lo obbliga a fondersi con quella luce che ha ricercato per tutta la vita.” 
Nonostante sia un momento felice inizia a soffrire sempre più di crisi depressive e di insonnia, una vera e propria malattia, che lo perseguita sin da quando è ragazzo. Prima di morire scrive a sua sorella: “Dio come è difficile la vita! Bisogna suonare tutte le note, suonarle bene…”.
Non ha alcun interesse per i soldi, per la gloria, per i premi, per le mostre, il successo gli sembra un ostacolo; non legge riviste d'arte, leggeva solamente i poeti. Non sarà un caso che dopo un deludente incontro con un critico, la notte del 16 marzo 1955, ad Antibes si getta dal balcone della sua residenza atelier. Aveva 41 anni.                      
Scrive il filosofo e saggista rumeno, suo amico: “Il suo suicidio ha lasciato tutti perplessi. Come spiegarlo? Lo straordinario non ha bisogno di commento. Si può tuttavia fare un’ipotesi che sarà una risposta soltanto per coloro che hanno affrontato l’abisso delle notti in bianco. De Staël conosceva questo abisso da iniziato, da specialista della vertigine. Rimpiangerò sempre di aver ignorato la misura delle sue prove. Se l’avessi intuita sarei sicuramente diventato suo amico, giacché esiste una complicità fra gli insonni, fra questi maledetti puniti per reato di lucidità. Vegliare vuol dire essere coscienti al di là del sopportabile, non poter dimenticare, subire la continuità dell’intollerabile. Mentre quelli che dormono incominciano ogni mattina un altro giorno, per l’insonne oblio non è possibile, poiché giorno e notte egli affronta incessantemente lo stesso inferno. Fu al terzo tentativo che per de Staël l’incubo ebbe fine. Non si tratta dunque di un’improvvisazione ma di una necessità, di un compimento, insomma di una liberazione. Le sue opere degli ultimi anni testimoniano una febbre, un’apocalissi interiore che esigeva il coronamento della morte […]. Ancora giovane era giunto al termine di sé stesso. Dopo tutto avrebbe potuto rinunciare alla pittura, cessare senza dramma di puntare su sé stesso, e abbandonarsi a un nulla qualsiasi, dunque tollerabile. Ma non ha voluto sopravvivere a sé stesso, odiava la rassegnazione. Da vero artista, si è rifiutato di venire a patti con la mediocrità della saggezza.”  

Io penso anche ai suoi quattro figli. Ma queste cose, di solito, non si dicono nelle biografie.







una delle sue ultime opere





La tomba di De Staël a Montrouge



1 commento:

  1. “Il suo suicidio ha lasciato tutti perplessi. – scrive Emile Cioran – “Come spiegarlo? Lo straordinario non ha bisogno di commento. Si può tuttavia fare un’ipotesi che sarà una risposta soltanto per coloro che hanno affrontato l’abisso delle notti in bianco. De Staël conosceva questo abisso da iniziato, da specialista della vertigine. Rimpiangerò sempre di aver ignorato la misura delle sue prove. Se l’avessi intuita sarei sicuramente diventato suo amico, giacché esiste una complicità fra gli insonni, fra questi maledetti puniti per reato di lucidità. Vegliare vuol dire essere coscienti al di là del sopportabile, non poter dimenticare, subire la continuità dell’intollerabile. Mentre quelli che dormono incominciano ogni mattina un altro giorno, per l’insonne oblio non è possibile, poiché giorno e notte egli affronta incessantemente lo stesso inferno.

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