Non
manca mai a nessuno una buona ragione per uccidersi.
Cesare Pavese
A me piace raccontarlo
come il pittore della concretezza (della materia) e della rarefazione. Come
concreto era il fisico da gigante picchiatore e inquieti, perennemente lontani
e sempre tristi i suoi occhi di Nicolas de Staël.
Figlio di una pianista russa
e del generale e barone Vladimir de Staël-Holstein della stessa famiglia della
celebre Madame de Staël, Nicolas De Staël (San Pietroburgo, 1914 - Antibes,
1955) è stato un pittore russo naturalizzato francese.
Come tanti famiglie nobili,
durante la Rivoluzione Bolscevica si trasferiscono in Polonia. Ma la ricerca
della felicità è altrove. Dopo la morte di entrambi i genitori tra 1920 e il 1921,
Nicolas e le sorelle vengono accolti presso la famiglia russa Fricero di
Bruxelles che, di fatto, li adotta.
Studia arte alla Accademia
e inizia a viaggiare per l’Europa e in Marocco, dove a Djema El Fna a Marrakech
conosce Jeannine Guillou, anche lei pittrice, e se ne innamora. Nel 1939 presto
servizio presso la Legione Straniera e quando torna, nel 1940 decide di
stabilirsi a Nizza insieme a Jeannine.
Paradossalmente la
disgrazia familiare coincide con l’inizio del suo successo, favorito anche dalla
ripresa economica del dopoguerra. Nicolas inizia a esporre e incontra i primi
successi di critica in Europa e negli Stati Uniti.
Il suo colore-materia
trasforma oggetti e paesaggi in forme primarie. La sua pittura viene realizzata
con campi cromatici stesi con la spatola. E’ colore e materia allo stesso momento,
che ricorda incredibilmente le opere dello svedese August Strindberg
(1849-1912) un visionario dimenticato come artista, e ricordato solo come
drammaturgo, che nel 1900-1901 realizzava opere astratte dello stesso sapore.
Un perdente anche lui, che vi chiedo di andare a riscoprire.
Jeannine Guillou, poco prima della morte |
Dopo le composizioni cupe
e tetre degli anni ’40, ora Nicolas inizia a scoprire il colore e sembra
placarsi, anzi, addirittura divertirsi,
Un episodio inaspettato lo
fa riavvicinare al figurativo. Nel 1953 assiste a un incontro di calcio allo
stadio di Parigi "Parc des Princes" e rimane talmente
impressionato dallo spettacolo della partita e dalle forza delle immagini da
voler ricreare quel mondo e quella tensione dinamica.
Nell’autunno del 1954
lascia la famiglia e va a vivere ad Antibes, sul mare. Come scrive
Francesco Castiglia: “Quello di Antibes è il più alto e poetico approdo del
lavoro di De Staël, ma anche l´estremo. Il pittore, in una delle sue lettere
datate il giorno del suicidio, confida infatti a un suo amico di non avere più
la forza per finire i suoi quadri. Ha passato tutta la vita a liberarsi dalla
materia scura e grumosa; con tenacia è arrivato a comprendere cosa sia la luce
in pittura. Tuttavia, è una scoperta che lo sconvolge e lo impossibilita a continuare.
Il suo percorso creativo tormentato e sofferto è arrivato al suo punto più
alto, estremo e irreversibile. Un punto di non ritorno, un imperativo che lo
obbliga a fondersi con quella luce che ha ricercato per tutta la vita.”
Nonostante sia un momento
felice inizia a soffrire sempre più di crisi depressive e di insonnia, una vera
e propria malattia, che lo perseguita sin da quando è ragazzo. Prima di morire
scrive a sua sorella: “Dio come è difficile la vita! Bisogna suonare tutte
le note, suonarle bene…”.
Non ha alcun interesse per
i soldi, per la gloria, per i premi, per le mostre, il successo gli sembra un
ostacolo; non legge riviste d'arte, leggeva solamente i poeti. Non sarà un caso
che dopo un deludente incontro con un critico, la notte del 16 marzo 1955, ad
Antibes si getta dal balcone della sua residenza atelier. Aveva 41
anni.
Scrive il filosofo e
saggista rumeno, suo amico: “Il suo suicidio ha lasciato tutti perplessi.
Come spiegarlo? Lo straordinario non ha bisogno di commento. Si può tuttavia
fare un’ipotesi che sarà una risposta soltanto per coloro che hanno affrontato
l’abisso delle notti in bianco. De Staël conosceva questo abisso da iniziato,
da specialista della vertigine. Rimpiangerò sempre di aver ignorato la misura
delle sue prove. Se l’avessi intuita sarei sicuramente diventato suo amico,
giacché esiste una complicità fra gli insonni, fra questi maledetti puniti per
reato di lucidità. Vegliare vuol dire essere coscienti al di là del
sopportabile, non poter dimenticare, subire la continuità dell’intollerabile.
Mentre quelli che dormono incominciano ogni mattina un altro giorno, per
l’insonne oblio non è possibile, poiché giorno e notte egli affronta
incessantemente lo stesso inferno. Fu al terzo tentativo che per de Staël
l’incubo ebbe fine. Non si tratta dunque di un’improvvisazione ma di una
necessità, di un compimento, insomma di una liberazione. Le sue opere degli
ultimi anni testimoniano una febbre, un’apocalissi interiore che esigeva il
coronamento della morte […]. Ancora giovane era giunto al termine di sé stesso.
Dopo tutto avrebbe potuto rinunciare alla pittura, cessare senza dramma di
puntare su sé stesso, e abbandonarsi a un nulla qualsiasi, dunque tollerabile.
Ma non ha voluto sopravvivere a sé stesso, odiava la rassegnazione. Da vero
artista, si è rifiutato di venire a patti con la mediocrità della saggezza.”
Io penso anche ai suoi
quattro figli. Ma queste cose, di solito, non si dicono nelle biografie.
una delle sue ultime opere |
La tomba di De Staël a Montrouge |
“Il suo suicidio ha lasciato tutti perplessi. – scrive Emile Cioran – “Come spiegarlo? Lo straordinario non ha bisogno di commento. Si può tuttavia fare un’ipotesi che sarà una risposta soltanto per coloro che hanno affrontato l’abisso delle notti in bianco. De Staël conosceva questo abisso da iniziato, da specialista della vertigine. Rimpiangerò sempre di aver ignorato la misura delle sue prove. Se l’avessi intuita sarei sicuramente diventato suo amico, giacché esiste una complicità fra gli insonni, fra questi maledetti puniti per reato di lucidità. Vegliare vuol dire essere coscienti al di là del sopportabile, non poter dimenticare, subire la continuità dell’intollerabile. Mentre quelli che dormono incominciano ogni mattina un altro giorno, per l’insonne oblio non è possibile, poiché giorno e notte egli affronta incessantemente lo stesso inferno.
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