UN PROGETTO DI ALFREDO ACCATINO

Viaggio non scontato tra artisti e visionari da tutto il mondo, molto lontano dai soliti nomi. Non esisterebbero le avanguardie senza maestri sconosciuti alla massa (ma certo non a musei e collezionisti). E non si sarebbe formata una cultura del contemporaneo senza l’apporto di pittori, scultori, fotografi, designer, scenografi, illustratori, che in queste pagine vogliamo riproporre. Immagini e storie del '900 – spesso straordinarie - che rischiavamo di perdere o dimenticare.


Seguiteci anche ogni mese su ARTeDOSSIER
https://www.facebook.com/museoimmaginario.museoimmaginario

https://www.facebook.com/Il-Museo-Immaginario-di-Allfredo-Accatino-487467594604391/




sabato 29 dicembre 2018

OLIVE OATMAN. LA RAGAZZA DIVISA IN DUE,

Una foto che rappresenta un unicum e che  identifica il contrasto di due mondi, inconciliabili. Nel 1851, quando è appena quattordicenne Olive Oatman e la sua famiglia partirono dall’Illinois alla volta della California senza affidarsi alla sicurezza dei grandi convogli, che richiedevano però anche un costo per la protezione. Sono mormoni, ma si crea una divergenza di opininoi e il già piccolo gruppo si divide. Royce Oatman, sua moglie Mary, e i loro sette figli, di età compresa da tra un anno e i 17, spinti da un forte fervore religioso, scelsero di andare ancora più a sud, attraversando, o perlomeno costeggiando, il deserto di Sonora.
Lungo il tragitto la famiglia perde l’orientamento e giunge nei territori dell'odierna Arizona. Qui vengono assaliti e annientati dagli indiani Yavapai. Le uniche superstiti, grazie all'uso della tribù, che prevedeva di risparmiare le ragazze, furono lei e sua sorella Mary Ann di soli sette anni. Yavapai occupavano un territorio di circa 51800 km², che andava dal San Francisco Peaks a nord alle Pinaleno Mountains e le Mazatzal Mountains a sudest, al fiume Colorado ad ovest e quasi fino al Gila River. Le due sorelle furono imprigionate e schiavizzate dagli Yavapai per poi essere cedute ad una tribù Mohave. Presso tale tribù vennero tatuate con la polvere da terra pietre blu, come si vede nella foto.



 Mary Ann morì di fame, durante una grave siccità che decimò i nativi, ma Olive continuò a vivere con le persone Mohave, integrandosi fra di loro; tant'è che sposò uno di essi ed ebbero due figli.
Nel 1856, quando ha 21 anni un drappello rinvenne Olive e la ricondusse nella sua civiltà originaria, quella bianca. Olive fu nuovamente sconvolta psicologicamente dallo sradicamento dalla sua nuova vita nella tribù in cui era stata accolta. 
Si risposò senza figli, cerando sempre di coprire i tatuaggi con creme. Morì per un attacco di cuore il 20 marzo 1903. Le lettere trovate dopo la sua morte raccontano il disagio psicologico che soffrì anche per aver dovuto abbandonare i suoi figli.

In suo onore è stata chiamata Oatman una cittadina in Arizona, nelle vicinanze della Route 66, nei pressi del fiume Colorado, ossia nei luoghi che segnarono, nel bene e nel male, la sua adolescenza.

indiani Yavapai.
indiani Yavapai.



 

Il romanzo biopic che rese celebre la sua storia.

ciao, Olive.



venerdì 28 dicembre 2018

BEPPE DOMENICI. LA CERAMICA, ETERNA INVENZIONE.

Nato nel 1924, morto nel 2008 a Viareggio, Beppe Domenici è stato uno dei grandi protagonisti del ventennio d’oro della Ceramica Italiana che vide confrontarsi, ad armi pari, artisti e artigiani, presi dalla febbre di creare forme e composizioni sempre nuove, mai viste. Uno dei grandi fenomeni italiani, anche sotto il fronte del Made in Italy, che unì tradizione e innovazione, e che portò maestranze e artisti a conquistare il mondo. Domenici, diplomatosi a Lucca, ne viene affascinato. A soli 23 anni opera prima a Vallauris, in Francia (dove lavora anche Picasso), poi ad Albisola in Liguria, nella manifattura di Pozzo Garitta, località che divenne in quegli la capitale mondiale di una tecnica antichissima eppure assolutamente innovativa e dove diventa amico Lele Luzzati e Lucio Fontana, con cuoi condividè per anni forno ed esperienze.Una produzione plastica che spazia in ogni possibile applicazione, portata avanti tra gli anni ‘50 e ’70, quando il dopoguerra cambia completamente la concezione dello spazio domestico, rendendo accessibili le intuizioni che Gio Ponti aveva portato avanti con la manifattura Richard Ginori. Non è più pensabile una casa senza bagno, la cucina diventa “living”, gli edifici urbani richiedono decorazioni a parete capaci di durare nel tempo, la casa, oggetti e forme nuove. Ceramica e maiolica - artigianali o industriali - sono materiali perfetti, modellabili, di facile manutenzione. Nascono così vasi dalle fogge azzardate e dai colori luminescenti, tavolini, obelischi e fontane. Non c’è limite, e Domenici arriverà a rivestire persino pianoforti e barche da crociera, o la Fontana delle Quattro Stagioni (1959), che accoglie ancora oggi i bagnanti alla passeggiata a mare.
Domenici ha girato il mondo, dal Brasile all'Australia (dove rappresenta la Toscana alla Italian Fair), realizzando scenografie per il cinema e il circo (da Moira Orfei a Darix Togni con il mitico Florilegio) e per il Carnevale di Viareggio, del quale fu il primo negli anni ’50 a meccanizzare i carri, facendo ruotare, inserendo nuovi materiali accanto alla cartapesta. Pittore sensibilissimo a appreso i primi rudimenti da Norma Mascellani, l’allieva prediletta di Giorgio Morandi, e da Lorenzo Viani, esplorando all’inizio uno stile novecentista e purista, e poi suggestioni espressioniste e surrealiste. Con una vena ironica che, a volte, prende il sopravvento.
E' questa sua poledricità che conquista e commuove, e che racconta un uomo che non si è mai tirato in dietro, che non ha avuto paura di sporcarsi le mani, che ha amato "l'alto" e rispettato "il basso" perché ha compreso che la creatività non ha mai etichette.
bassorilevo nel bellissimo Blu di Montelupo


bozzetto per la fontana delle quattro stagioni


 
Beppe Domenici (a sinistra) con Arturo Dazzi

 Lucio Fontana e Agenore Fabbri in Spiaggia ad Albisola, primi anni 50



 





mercoledì 26 dicembre 2018

SORRIDI, STAI PER ENTRARE NEL MITO. 5000 lire per un sorriso.

Un sorriso e tutto è possibile, la ricchezza, la fama, la felicità.
Non è un sogno, il concorso “5000 lire per un sorriso” che elesse dal 1939 al 1941 la ragazza più bella d'Italia, quella che tutti avrebbe voluto sposare.
Una idea così semplice e “casta” da fare paura, nata dal connubio fra un artista e pubblicitario Dino Villani (l’inventore del brand e della immagine della Motta) e Cesare Zavattini (scrittore e sceneggiatore) per sponsorizzare una marca di dentifricio nata da una costola della Carlo Erba. Non si sfila in passerella, basta inviare la foto di un sorriso per vincere 5000 lire in titoli (poco meno di 5000 euro), e poi un corredo, una pelliccia, una cucina a gas, un soggiorno di due settimane per due persone presso il Grande Albergo di Cattolica, un lampadario di Murano, un impermeabile di lusso e 6 paia di calze di seta…





Un’idea promozionale fenomenale, forse mai più eguagliata per penetrazione e gradimento. Il sorriso diventa quindi icona e specchio dell’anima in una interessante analisi antropologica. Tutte volevano partecipare. Tutti le desideravano Lo scoppio del conflitto bellico con i suoi bombardamenti segnò la fine del concorso, che terminò nel 1941 durando solo tre anni. Dopo l'interruzione di tre anni, dal 1942 al 1944 dovuta alla Seconda guerra mondiale, il concorso riprese nel 1946 adottando il nome attuale di "Miss Italia". Ma questa, è un’altra storia.


Dino Villani, uno dei padri della pubbliità
Cesare Zavattini
  

giovedì 20 dicembre 2018

I FRATELLI STENBERG. GLI ZAR DELL’ARTE GRAFICA DEL ‘900

I più bei manifesti cinematografici degli anni ’20 furono probabilmente realizzato da due fratelli russi che si firmavano “2 Stenberg 2” e che avevano un tocco avanguardista che anticipò l’arte di Andy Warhol e che avrebbe inorgoglito Rodčenko che li conosceva e li stimava.
Dal 1923 furono i principali artisti della “Sovkino”, la compagnia cinematografica statale sovietica da poco creata. In meno di dieci anni disegnarono più di 300 manifesti di film, ricreando soprattutto i manifesti delle famose pellicole americane e straniere, adattandole al gusto del popolo sovietico, ma anche strizzando l’occhio all’arte grafica più pura. Nascono, semplicemente, dei capolavori.
 


  

Loro stessi sono un mix anche culturale, con padre di origine svedese, nazione di cui mantennero la cittadinanza sino al 1933.
Vladimir Stenberg (Mosca, 4 aprile 1899 – 1º maggio 1982) e Georgij Stenberg (Mosca, 7 ottobre 1900 – 15 ottobre 1933), studiarono inizialmente ingegneria, trasferendosi prima presso la moscovita Scuola di Arti Applicate Stroganov (1912-1917) e successivamente presso lo SVOMAS, Libero Atelier dell'Arte di Stato di Mosca, ove assieme ad altri studenti realizzarono nel 1918 le decorazioni e il manifesto ufficiale per la Festa del 1º maggio.
Erano costruttivisti, esposero alla prima mostra all'estero della nuova arte rivoluzionaria russa, ma la svolta arriva tra il 1922 ed il 1931, quando iniziano la serie di poster, continuando a esporre e a insegnare presso l'Istituto di Architettura e Costruzione di Mosca. Pittori, scultori, ma anche architetti e costumisti, Artisti globali

I lavori grafici  furono realizzati dai due fratelli nel limitato arco temporale di nove anni, tra il 1924 ed il 1933, ovvero l'anno della scomparsa di Georgii a soli 33 anni, morto in un incidente stradale tra la sua motocicletta ed un mezzo pesante, avvenuto pochi mesi dopo aver acquisito la cittadinanza russa.
Vladimir continuò successivamente a lavorare come grafico per manifesti cinematografici ed organizzò le decorazioni per i festeggiamenti del 1º maggio del 1947 nella Piazza Rossa di Mosca.
Perché sono straordinari?
Perché mettono al servizio delle avanguardie un mezzo commerciale di massa come il manifesto cinematografico, tramutando una cultura in fondo elitaria in un linguaggio collettivo. Ma fanno di più ricercano la SINTESI NARRATIVA DEL FILM, cosa non scontata, sintetizzando la photo opportunity, e l’idea guida. Dimostrandosi in questo molto più avanti rispetto alla cultura visiva americana, francese e italiana.




  
 



 
Battleship Potemkin, Stenberg Brothers, 1925  

mercoledì 19 dicembre 2018

VE LO DO IO NATALE. OVVERO, SONO SOPRAVVISUTO AGLI ANNI ’70: FOOD & KITSCH

Dio creò prima l'insalata russa, poi l’aspic (mattonella di gelatina ripiena di verdure), quindi i panini “spiritosi” e il pesce monstre su pesciera, poi si riposò.
Ripresosi con l'Alka Seltzer si sbizzarrì: tartine in ogni foggia, l’aragosta in bella mostra, le “penne alla Tognazzi” (Ingredienti: pasta corta, panna da cucina, maionese, olive nere, ketchup, giuro..). E poi, ancora, pernici a culo in aria, pop corn ricoperti di cioccolata., composizioni che creano faccette e pupazzi, letti di broccoletti e insalatina, penne alla vodka, vol-au-vent, galantine di pollo, riccoli di burro, cocktail di gamberi in salsa rosa, wurstel, uova di lompo nere e rosse. Ma non è finito: salmone, penne mare monti, tortellini alla panna, polpa di granchio, uova sode come se piovesse, e per dessert: banana split, fragole con panna, peche melba. 







Ovunque regna la maionese e la panna liquida o montata, le stoviglie pesano, si vedono in scena brocche di peltro e pupazzi ready-made. A volte soldatini, a volte animaletti.
Porzioni sempre abbondanti. da colica renale, e colori accesi con una quadricromia spinta da rossssooooo e verdeeeee… Questo era il pranzo di Natale che tutti sognavano che si sfogliava con aria progettuale su malfamate pubblicazioni come i JOLLY IN CUCINA.
Uno status symbol.
I libri si vendevano come caffè al bar, e andavano di moda anche le schede ricette plastificate in contenitore di plastica verde o arancione da tenere sul bancone.
Questi erano gli anni ’70, dove si dava una sgommata al passato e tutto sembrava possibile. Gli stereo dovevano essere giganteschi, e tutte le case avevano il mobile bar dove imperavano i brandy (Oro Pilla, Vecchia Romagna, Stock), gli amari (Kambusa One L’amaricante, Dom Bairo l'uvamaro, Cynar), i whisky blended (Vat69). C'era anche il Nocino, il Cremidea Beccaro, il Petrus con la mano di ferro e la Grappa Bocchino.
Un’estetica kitsch che oggi diventa meme, e che richiede una buona dose di bicarbonato.









i manuali d'uso, onnipresenti nelle cucine italiane