UN PROGETTO DI ALFREDO ACCATINO

Viaggio non scontato tra artisti e visionari da tutto il mondo, molto lontano dai soliti nomi. Non esisterebbero le avanguardie senza maestri sconosciuti alla massa (ma certo non a musei e collezionisti). E non si sarebbe formata una cultura del contemporaneo senza l’apporto di pittori, scultori, fotografi, designer, scenografi, illustratori, che in queste pagine vogliamo riproporre. Immagini e storie del '900 – spesso straordinarie - che rischiavamo di perdere o dimenticare.


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lunedì 25 novembre 2024

GELY KORZHEV DAL REALISMO SOCIALISTA AL DEGRADO POST SOVIETICO

 


“Sono nato in Unione Sovietica e ho creduto sinceramente nelle idee e negli ideali di quei tempi. Oggi sono considerati un errore storico. Ora la Russia ha un sistema sociale direttamente opposto a quello in cui io, come artista, sono cresciuto. L'accettazione di un Premio di Stato sarebbe quindi per me uguale a una confessione dell’ipocrisia vissuta durante tutta la mia carriera artistica. Chiedo che voi possiate accogliere il mio rifiuto con la dovuta comprensione.”

Questo è ciò che Gely Korzhev uno dei pilastri dell'arte sovietica post-bellica, forse il maggior esponente del realismo socialista, scrisse in una lettera aperta per rifiutare un importante riconoscimento pubblico. 

La sparizione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, ilcrollo del regime e di tutto quello in cui aveva creduto lo aveva infatti spinto ad abbandonare progressivamente “il reale” per raccontare un mondo pericoloso e “irreale” nel quale aveva finito per non riconoscersi più. 

Lo popola di figure allegoriche che ci appaiono "mostri”, come li avrebbe chiamati Goya, rappresentazioni di una realtà deformata dal disagio, dal conformismo e dall'alienazione. Esseri grotteschi e disturbanti, che riflettono la crisi di una società che aveva promesso utopie e consegnato disillusioni, che aveva “cambiato pelle”, rinunciando ai propri ideali.

Il suo stile assume connotazioni espressioniste, con un uso audace del colore e una tecnica che sconfina nell'astrazione, offrendo una visione feroce della nuova Russia.

 

Incredibile che sia lo stesso autore di alcune delle opere più straordinarie della cultura sovietica del dopoguerra, uno dei più ferventi e convincenti interpreti di uno stile che voleva celebrare la forza del popolo sovietico, la sua resistenza, l’impegno ideologico che avrebbe un giorno permesso di cambiare il mondo. Ma Korzhev, ed è questa la sua straordinaria dote, non si limitò a essere un mero strumento di propaganda: la sua arte ha sempre mostrato una profonda comprensione e connessione umana, rendendolo uno degli artisti più influenti della sua generazione. 

Un critico potrebbe scrivere: "Korzhev, anche in piena epoca staliniana, di cui accetta ed esalta la retorica, non dipinge solo persone; dipinge le loro battaglie, le loro paure, la loro tenacia, dando forma visiva all'esperienza collettiva di una nazione intera."È come se fosse risalito allo spirito iniziale del movimento, teorizzato nel 1934 dallo scrittore e drammaturgo Maksim Gor'kij.

Lo fa con uno stile pregno di conoscenza tecnica, ma soprattutto pathos, sia quando crea immagini/manifesto come il celeberrimo trittico "Comunisti" (Sollevando la bandiera 1958/9), che gli valse la prestigiosa Medaglia d’oro dell’Accademia delle Arti dell’URSS, o rappresenta lavoratori, cittadini comuni (Innamorati), reduci (segni della guerra). Taglia le immagini in modo magistrale, si concentra sui dettagli, coglie l’azione come il frame di una pellicola.

 

 

Conoscevo le sue opere solo attraverso per le pubblicazioni, ma dal vivo quando nel 2019 ho avuto l’opportunità di ammirarle alla Biennale di Venezia nell'esposizione curata dalla Ca' Foscari, ne rimasi folgorato. Per l’intensità, per i campi cromatici ampi e potenti, ma anche per le dimensioni delle tele che trasformano ogni momento in una straordinaria pala d’altare, dimostrando come la sua arte abbia attraversato i confini nazionali e dialogato con questioni universali. È una pittura materica, vibrante, ricca di livelli percettivi. che trasmette emozioni e valori.

 

 

Nato a Mosca il 7 luglio 1925, da una famiglia di architetti e di docenti si appassiona al disegno e viene ammesso alla Scuola superiore d'arte. Allo scoppio del conflitto deve interrompere gli studi e può diplomarsi solo nel 1944. 

Entra successivamente all'Istituto d'arte di Mosca, dove diventerà l‘allievo prediletto del famoso pittore Aleksandr Gerasimov. Grazie alla sua intercessione negli anni ’50 ottiene la cattedra alla Scuola d’arte industriale di Mosca, oggi nota come Accademia Stroganov ed entra a far parte dell'Unione degli Artisti dell'URSS. 

Da quel momento sarà un succedersi di successi e riconoscimenti. 

Partecipa alla Biennale di Venezia del 1962 e può permettersi di viaggiare in Europa e negli Stati Uniti, ma tutto, alla fine si riduce a poco più di un ventennio.

Il processo di “destalinizzazione”, iniziato da Nikita Krusciov, porta a un cambiamento di rotta che Gely si rifiuta di accettare

Negli anni '80, deluso dalla situazione politica si ritira dalla vita pubblica, preferendo vivere circondato dalla famiglia e da pochi amici, continuando a dipingere il proprio inferno.

Nonostante il ritiro, e il suo approccio critico, il suo contributo all'arte e alla cultura russa viene riconosciuto nel 2003 con l’assegnazione del Premio Sholokhov. 

 

Gely Korzhev muore il 27 agosto 2012 a Mosca. Nel 2013, l'Istituto d'arte russa gli dedicherà una mostra retrospettiva, celebrando il suo legato come uno dei pilastri dell'arte sovietica del XX secolo. Perché, come venne scritto nella motivazione: “le sue opere ci costringono a confrontarci con la nostra propria storia e i nostri demoni personali, esplorando temi di alienazione e identità con un realismo crudo che è raro e necessario."

 


EVA HESSE. LA VITA NON DURA. L’ARTE NON DURA.

Penso che l'arte sia una cosa totale. È un'essenza, un'anima.      
 Nella mia anima interiore arte e vita sono inseparabili.  
Eva Hess

 

Ogni due settimane il responsabile della conservazione delle collezioni del Museo del Novecento di Milano (in gergo: registrar) gonfia un palloncino nuovo e lo rimette sotto la teca al posto di quello sgonfio. Solo così può rinascere Corpo d'aria n.23 di Piero Manzoni, scultura pneumatica e provocatoria che l’artista realizzò tra il 1959 e il 1960 in 45 multipli.  A lungo si discusse se era giusto rigonfiarlo se invece occorreva lasciare il palloncino originale, ormai ridotto a vermiciattolo incancrenito. Tema che ha toccato anche le sculture e le installazioni di Pino Pascali o il cretto di Burri a Gibellina, e che oggi coinvolge quasi tutte le opere di una grande artista internazionale come Eva Hesse (Düsseldorf, 1936 – New York, 1970). Un’anticipatrice, che non solo seppe innovare il linguaggio visivo, ma che per la sua ricerca utilizzò materiali al tempo del tutto inediti, e dei quali ignorava quale sarebbe stato l’evoluzione o il processo di invecchiamento nel tempo. Ma non era poi così importante, visto che lei stessa diceva: “la vita non dura, l’arte non dura.”

Prendete ad esempio questa opera, che sembra essere stata prodotta con spago o lana, ma che in realtà utilizza fibra di vetro. Ogni filo era stato infatti immerso nel lattice e, subito dopo, appeso a ganci ricavati da normali grucce per abiti e lasciato ad asciugare. Si genera così una struttura che sembra ricollegarsi alla natura, ma che in realtà nasce dalla tecnologia. Un’opera fascinosa quanto incredibilmente fragile, tanto che per riuscire a salvarla il Milwaukee Art Museum ha dovuto progettare una struttura parallela in grado di sostenerla, impedendo di sfaldarsi. “Right After” Subito dopo, opera spesso avvicinata al movimento minimalista e post-minimalista, nata nel 1969 in collaborazione con l'artista Doug John, suo compagno, è di fatto un testamento spirituale, quasi un processo animistico che preannuncia la nascita della fiber-art.        

La realizzò quando aveva 33 anni e gli era stato diagnosticato un tumore al cervello che l’avrebbe portata via nel giro di pochi mesi, provocandogli dolori lancinanti. E il dolore, a dispetto delle sue foto quasi sempre sorridenti, che mi hanno colpito per la freschezza e contemporaneità, ha spesso intrecciato la sua esistenza.

Eva Hesse nacque in una famiglia ebrea ad Amburgo, in Germania, l'11 gennaio 1936, ma la sua infanzia fu segnata da eventi traumatici. Nel 1938, a causa delle crescenti persecuzioni, la famiglia Hesse fu costretta a fuggire dalla Germania. Eva ed Helen, sua sorella maggiore, furono mandate in Olanda con un Kindertransport, un'operazione di salvataggio che portò migliaia di bambini ebrei in luoghi più sicuri. Poco dopo, anche i loro genitori riuscirono a fuggire e la famiglia si riunì temporaneamente a Londra.                                         

Nel 1939 emigrarono negli Stati Uniti, stabilendosi a New York. Non fu facile adattarsi. Poco dopo il loro arrivo i genitori di Eva si separarono, e nel 1944 la madre si suicidò. Eventi che influenzarono profondamente la vita e l'arte di Eva. Nonostante le difficoltà. Quella ragazzina, ostinata e sensibile, riuscì a trovare un ambiente stimolante, dove poté sviluppare il suo talento artistico e ricevere una formazione adeguata. Studia alla School of Industrial Art, al Pratt Institute e successivamente alla Yale University, dove si laurea nel 1959 sotto la guida di Josef Albers già docente al Bauhaus. La storia dell'infanzia di Eva Hesse resta però una testimonianza della resilienza umana di fronte alle avversità. La sua esperienza di fuga, perdita e ricostruzione in un nuovo paese ha influenzato profondamente la sua capacità artistica e la sua visione del mondo, elementi che si riflettono chiaramente nel suo lavoro innovativo ed emotivamente carico.

Le sue prime opere riflettono un'influenza surrealista e astratta, ma è negli anni '60 che sviluppa il suo stile distintivo che utilizza materiali non convenzionali come il latex, la fibra di vetro, la plastica, che conferiscono alle opere una qualità organica e transitoria. Con un percorso simile a quello intrapreso da Louise Bourgeois negli stessi anni. Le sue installazioni scultoree esplorano spesso temi collegati
alla femminilità, alla fragilità, in contrasto con il rigore del minimalismo dominante dell'epoca. Tra le sue opere più celebri ricordiamo "Hang Up" (1966), "Accession II" (1968) e "Contingent" (1969), che esemplificano la sua capacità di trasformare materiali industriali in forme evocative ed empatiche.  Nonostante la sua carriera sia stata tragicamente breve (morirà il 29 maggio 1970) la sua influenza perdura ancora oggi nell'arte contemporanea. Della sua esistenza diceva: “
Arte e lavoro, arte e vita sono molto collegati e tutta la mia vita è stata assurda. Non è successo nulla che non sia stato estremo: salute personale, famiglia, situazione economica... assurdità è la parola chiave.”

 
 
 

 



 

 

 

sabato 23 novembre 2024

LA CARNE NON E' DEBOLE Zinaida Evgen’evna Serebrjakova


Non sono corpi né borghesi né nobili. Le modelle vennero scelte tra le ragazze del paese, o tra quelle che facevano le domestiche per le famiglie vicine. Vasilisa Nikitična Dudčenko, contadina del villaggio di Neskučne, che lavorava come cuoca, disse: "Ho posato per Zinaida. Sono in piedi al centro, piegata in avanti, ma il mio volto è nascosto dalla donna che tiene il secchio in primo piano." Accesi dal riflesso delle fiamme, undici corpi si fondono, ognuno con una propria identità, e a differenza de Il bagno turco di Ingres (1863), nel quale la carne veniva «esposta secondo un gusto maschile», le donne appaiono sensuali, ma non sessualizzate, carnali, ma non compiacenti. La fisicità esprime soprattutto una bellezza interiore, fattore che ritorna nei nudi e nei celebri autoritratti della pittrice ucraina.

I corpi, svelati dal riflesso delle fiamme, sembrano irradiare luce, hanno pose naturali, sono donne normali e allo stesso tempo antiche dee. Emerge un chiaro riferimento al neoclassicismo, ma più che a Francia e Italia, dove era andata a studiare, Zinaida guarda alla sua terra e alla sua gente, tanto che la donna in primo piano cita una famosa scultura di Feodosius Schedrin. 


Questa tela nasce dopo decine di studi preparatori, per cui lei stessa fece da modella. Al tempo aveva ventinove anni, era al massimo dell’esplosione creativa ed era il suo primo quadro di grande formato.

Nata nell’allora Impero russo, vicino a Charkiv, città recentemente devastata dall’invasione russa in Ucraina, è stata la maggiore pittrice figurativa del suo paese e una delle sette donne più importanti dell’arte del Novecento. Apparteneva alla famiglia artistica Benois. Suo nonno, Nicholas, era un celebre architetto, suo zio Alexandre un famoso pittore, fondatore del gruppo artistico Mir iskusstva (Mondo dell’arte), suo padre un noto scultore, e così via. Per nulla scontato, quindi, che una ragazza potesse superare i maschi di casa, con uno stile assolutamente riconoscibile, con quella che definirei «una pittura intelligente». In quegli anni, stanchi della rigidità imposta dal classicismo dell’Accademia di San Pietroburgo (eroi e miti greci), i russi ricercavano una nuova forma d’arte nazionale, pensata per la gente.

Nacquero così le avanguardie, poi concretizzatesi nel suprematismo. Altri operarono invece nel figurativo, vicini alle tematiche proposte dalla rivista “Mir Iskusstva”.  

Nel 1905 Zinaida Lanceray sposa suo cugino Boris Serebrjakov, figlio della sorella del padre, che conosceva da sempre, e si reca con lui a Parigi, dove frequenta l'Accademia de la Grande Chaumière, completando un ciclo di studi iniziato in Russia sotto il celebre Il'ja Efimovič Repin e nel corso di viaggi in Italia. L’opera “autoritratto al tavolo da toletta” del 1909 segna l'inizio dell'affermazione artistica della pittrice. Zinaida si spazzola i suoi lunghi capelli. E il suo sguardo, la posa, la torsione del busto e delle braccia, donano movimento alla scena ma soprattutto la fanno avanzare di molti anni rispetto alla pittura del proprio tempo. Non vorrei sembrare impudente, ma sembra una eroina di Crepax pronta a conquistare il mondo.

La Rivoluzione d’ottobre finisce, però, per travolgere ogni cosa. Nel 1919 il marito Boris muore per il tifo contratto nelle carceri bolsceviche. La tenuta di famiglia viene saccheggiata e la casa incendiata da una banda di anarchici. La pittrice resta senza entrate, con quattro figli piccoli e la madre malata va a vivere in un’abitazione condivisa.  

Esemplare della difficoltà del momento la tela “Castello di carte” (1919) che ritrae i quattro figli concentrati nel gioco attorno al tavolo.  Non vi inganni il titolo, ciò che traspare è solo  la tristezza che vivono i bambini, costruendo una torre destinata certamente a cadere. Quando non potrà più permettersi neanche tela e pennelli, utilizzerà materiali poveri come gessetti e carboncino.  

Nel 1924 Zinaida viene invitata a Parigi per realizzare un grande murale, incarico che potrebbe permettere alla famiglia di uscire dalla miseria. È indecisa, ha paura, ma pensa che l’incarico possa portare sollievo economico alla sua famiglia.  Raggiunge quindi la Francia convinta che il distacco sarebbe durato solo pochi mesi. Le verrà tuttavia vietato di tornare e ci vorranno addirittura trentasei anni per rivedere la figlia maggiore, vivendo all’inizio in grandi ristrettezze: «Nessuno capisce che iniziare senza un soldo è follemente difficile Il tempo passa e io combatto» scrive disperata a sua madre a cui ha lasciato i figli.

Solo nel 1966 il suo lavoro verrà riconosciuto in Russia, dando vita a una grande retrospettiva a Mosca e con francobolli celebrativi dedicati al suo autoritratto alla toletta. Zinaida muore a Parigi l’anno dopo per emorragia cerebrale. È sepolta a Parigi, nel cimitero russo di Sainte Geneviève des Bois.




 

 

SPARKS - SCINTILLE DI PURA CREATIVITA' - TORNA IL PROGETTO OUTSIDERS IN UNA NUOVA FORMA DEDICATA A RACCONTARE CAPOLAVORI SCONOSCIUTI

 


Si può leggere un quadro andando al di là di ciò che appare a prima vista? Una opera d’arte può celare un segreto?

Alfredo Accatino torna con altri, nuovi, geniali, incredibili Outsiders, in una formula nuova, raccontando 101 immagine mai viste (o quasi), utilizzando ogni volta meno di 500 parole. Un approccio diretto, portato avanti con uno stile coinvolgente, diretto e colloquiale che non intende rivolgersi solo agli “addetti ai lavori”. Un progetto che nei 3 volumi precedenti ha reso visibili artisti ingiustamente dimenticati, spesso portandoli alla ribalta internazionale, forte di un’avventura editoriale che, contro ogni previsione, ha ottenuto migliaia di lettori, in Italia e all’estero, ottenendo un grande seguito mediatico e social.

Oggi nasce Sparks. Arte mai vista: opere spesso inedite in Italia, tra dipinti, sculture, fotografie, frammenti di arte performativa, con un ricchissimo e raro supporto iconografico che lo rende un libro da regalare, o da leggere un po’ alla volta.

Sparks In inglese vuol dire infatti “scintille”. Opere che emergono dal buio. Perché, come canta Bruce Springsteen “non puoi accendere un fuoco senza una scintilla.”

Alfredo Accatino SPARKS. Scintille di pura creatività.

Giunti Editore – Collana Varia Arte - pp. 240 – euro 29


 Alfredo Accatino SPARKS. Scintille di pura creatività.

Giunti Editore – Collana Varia Arte - pp. 240 – euro 29

ALFREDO ACCATINO è uno dei più noti e premiati creativi italiani, autore di importanti eventi in tutto il mondo, dalle cerimonie olimpiche di Torino 2006 a quelle di Expo Milano 2015. Sarà anche direttore artistico delle cerimonie olimpiche e paralimpiche Milano Corina 2026 all'Arena di Verona.

Ha una vasta produzione editoriale ed è autore della fortunata serie Outsiders dedicata alla riscoperta di artisti dimenticati del ‘900. Cura l’omonima rubrica sulla rivista Art e Dossier ed è autore del romanzo “La linea e l’ombra” (Giunti Editore) ambientato nel Bauhaus.

 



mercoledì 20 novembre 2024

ACHILLE SDRUSCIA L’ALTRO VOLTO DELLA SCUOLA ROMANA. PIU’ DIMENTICATO CHE OUTSIDERS.



“La pittura è una preghiera laica è una immersone nel colore e nella materia!”

Achille Sdruscia

Se amate i rossi gridati e pastosi di Gino Bonichi (in arte Scipione), o quelle atmosfere post-atomiche create ben prima dell’atomica, se vi affascinano le contorsioni dei corpi di Mafai, troverete anche voi, come me, una connessione diretta e forte con Achille Sdruscia (1910-1994), uno dei più dimenticati e sottovalutati pittori della Scuola Romana. Proprio da Gino & Mario, di sei anni più anziani di lui, riceve i primi incoraggiamenti, e l’invito a frequentare i corsi della scuola libera del nudo dell'Accademia di Belle Arti e poi a frequentare la Biblioteca di Storia dell'Arte di Palazzo Venezia dove, entrambi, avevano potuto formare la propria conoscenza sulle nuove tendenze dell’arte.

Achille Sdruscia per gli amici “Achilletto”, nasce a Roma nel 1910 e dal padre Amedeo maestro stuccatore, storico collaboratore dello studio “Brini e Meschini” impara i rudimenti del mestiere, che poi riverserà nella pittura.  Di giorno lavora con il padre e, quando può, frequenta i corsi di disegno anche presso l’Accademia di San Luca. E il disegno, non a caso, diventerà una sua area di eccellenza, pur se pochi sono ancora i suoi lavori conosciuti. Una capacità segnica che va di pari passo con quella dei grandi pittori del tempo.


festa in piazza, 1942        


   

È durante la guerra che comprende la sua vocazione, entra di fatto nella Scuola Romana che si dirama in mille sfaccettature. Frequenta Piazza del Popolo e via Margutta, dove abiterà brevemente, e nel 1943 Sdruscia è presente alla IV edizione della Quadriennale di Roma. Frequenta i più grandi maestri di quel periodo, da Virgilio Guidi a De Pisis, da Ziveri (con cui spesso dipinge en plein air) a Vedova. Si reca spesso nelle Marche, dove trova l'amicizia di Arnoldo Ciarrocchi e dove esporrà.

Negli anni cinquanta la sua pittura tonale, incontra un discreto successo di pubblico e di vendite, espone nella celebre rassegna romana voluta dalle Sorelle Fontana, e riceve una menzione speciale al Premio Marzotto. Achille Sdruscia racconta Roma in tutti i suoi angoli segreti, con uno stile che appare immediatamente riconoscibile, dove il nero agisce come contorno e alternanza, in contrapposizioni a rossi e ocra. Roma in quegli anni è un grande paese dove nel centro storico vivono ancora artigiani e povera gente, ed è quello il mondo che vuole raccontare. Inizia tuttavia a rinchiudersi in sé stesso, e soprattutto, esce dal giro dei galleristi. Questo lo porterà a essere via via dimenticato, mentre il valore delle sue opere scende di quotazione. Negli anni settanta la sua arte appare antica, superata. Non sperimenterà mai la pittura astratta, approccia un cubismo della seconda ondata e finisce per essere dimenticato. 

Muore a Roma nel 1994 a Via Pola, dove abitava,

L'artista è presente anche nella Galleria Nazionale d d'Arte Moderna di Roma ed inserito nel catalogo della "Raccolta 8 x10 di Cesare Zavattini".

 

« L'arte è il conforto dello spirito 

e in essa esiste la civiltà del tempo »

 

Premio Marzotto 1951 foto ufficiale con Enrico Accatino, Carlo Levi, Felice Mariani, Ornella Angeloni, Achille Sdruscia (con i baffi)
 


autoritratto 1943








 

Mia madre, 1944   



 

 



 

 

 

Scuola romana, Achille Sdruscia, "Achille Sdruscia"