UN PROGETTO DI ALFREDO ACCATINO

Viaggio non scontato tra artisti e visionari da tutto il mondo, molto lontano dai soliti nomi. Non esisterebbero le avanguardie senza maestri sconosciuti alla massa (ma certo non a musei e collezionisti). E non si sarebbe formata una cultura del contemporaneo senza l’apporto di pittori, scultori, fotografi, designer, scenografi, illustratori, che in queste pagine vogliamo riproporre. Immagini e storie del '900 – spesso straordinarie - che rischiavamo di perdere o dimenticare.


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lunedì 25 novembre 2024

EVA HESSE. LA VITA NON DURA. L’ARTE NON DURA.

Penso che l'arte sia una cosa totale. È un'essenza, un'anima.      
 Nella mia anima interiore arte e vita sono inseparabili.  
Eva Hess

 

Ogni due settimane il responsabile della conservazione delle collezioni del Museo del Novecento di Milano (in gergo: registrar) gonfia un palloncino nuovo e lo rimette sotto la teca al posto di quello sgonfio. Solo così può rinascere Corpo d'aria n.23 di Piero Manzoni, scultura pneumatica e provocatoria che l’artista realizzò tra il 1959 e il 1960 in 45 multipli.  A lungo si discusse se era giusto rigonfiarlo se invece occorreva lasciare il palloncino originale, ormai ridotto a vermiciattolo incancrenito. Tema che ha toccato anche le sculture e le installazioni di Pino Pascali o il cretto di Burri a Gibellina, e che oggi coinvolge quasi tutte le opere di una grande artista internazionale come Eva Hesse (Düsseldorf, 1936 – New York, 1970). Un’anticipatrice, che non solo seppe innovare il linguaggio visivo, ma che per la sua ricerca utilizzò materiali al tempo del tutto inediti, e dei quali ignorava quale sarebbe stato l’evoluzione o il processo di invecchiamento nel tempo. Ma non era poi così importante, visto che lei stessa diceva: “la vita non dura, l’arte non dura.”

Prendete ad esempio questa opera, che sembra essere stata prodotta con spago o lana, ma che in realtà utilizza fibra di vetro. Ogni filo era stato infatti immerso nel lattice e, subito dopo, appeso a ganci ricavati da normali grucce per abiti e lasciato ad asciugare. Si genera così una struttura che sembra ricollegarsi alla natura, ma che in realtà nasce dalla tecnologia. Un’opera fascinosa quanto incredibilmente fragile, tanto che per riuscire a salvarla il Milwaukee Art Museum ha dovuto progettare una struttura parallela in grado di sostenerla, impedendo di sfaldarsi. “Right After” Subito dopo, opera spesso avvicinata al movimento minimalista e post-minimalista, nata nel 1969 in collaborazione con l'artista Doug John, suo compagno, è di fatto un testamento spirituale, quasi un processo animistico che preannuncia la nascita della fiber-art.        

La realizzò quando aveva 33 anni e gli era stato diagnosticato un tumore al cervello che l’avrebbe portata via nel giro di pochi mesi, provocandogli dolori lancinanti. E il dolore, a dispetto delle sue foto quasi sempre sorridenti, che mi hanno colpito per la freschezza e contemporaneità, ha spesso intrecciato la sua esistenza.

Eva Hesse nacque in una famiglia ebrea ad Amburgo, in Germania, l'11 gennaio 1936, ma la sua infanzia fu segnata da eventi traumatici. Nel 1938, a causa delle crescenti persecuzioni, la famiglia Hesse fu costretta a fuggire dalla Germania. Eva ed Helen, sua sorella maggiore, furono mandate in Olanda con un Kindertransport, un'operazione di salvataggio che portò migliaia di bambini ebrei in luoghi più sicuri. Poco dopo, anche i loro genitori riuscirono a fuggire e la famiglia si riunì temporaneamente a Londra.                                         

Nel 1939 emigrarono negli Stati Uniti, stabilendosi a New York. Non fu facile adattarsi. Poco dopo il loro arrivo i genitori di Eva si separarono, e nel 1944 la madre si suicidò. Eventi che influenzarono profondamente la vita e l'arte di Eva. Nonostante le difficoltà. Quella ragazzina, ostinata e sensibile, riuscì a trovare un ambiente stimolante, dove poté sviluppare il suo talento artistico e ricevere una formazione adeguata. Studia alla School of Industrial Art, al Pratt Institute e successivamente alla Yale University, dove si laurea nel 1959 sotto la guida di Josef Albers già docente al Bauhaus. La storia dell'infanzia di Eva Hesse resta però una testimonianza della resilienza umana di fronte alle avversità. La sua esperienza di fuga, perdita e ricostruzione in un nuovo paese ha influenzato profondamente la sua capacità artistica e la sua visione del mondo, elementi che si riflettono chiaramente nel suo lavoro innovativo ed emotivamente carico.

Le sue prime opere riflettono un'influenza surrealista e astratta, ma è negli anni '60 che sviluppa il suo stile distintivo che utilizza materiali non convenzionali come il latex, la fibra di vetro, la plastica, che conferiscono alle opere una qualità organica e transitoria. Con un percorso simile a quello intrapreso da Louise Bourgeois negli stessi anni. Le sue installazioni scultoree esplorano spesso temi collegati
alla femminilità, alla fragilità, in contrasto con il rigore del minimalismo dominante dell'epoca. Tra le sue opere più celebri ricordiamo "Hang Up" (1966), "Accession II" (1968) e "Contingent" (1969), che esemplificano la sua capacità di trasformare materiali industriali in forme evocative ed empatiche.  Nonostante la sua carriera sia stata tragicamente breve (morirà il 29 maggio 1970) la sua influenza perdura ancora oggi nell'arte contemporanea. Della sua esistenza diceva: “
Arte e lavoro, arte e vita sono molto collegati e tutta la mia vita è stata assurda. Non è successo nulla che non sia stato estremo: salute personale, famiglia, situazione economica... assurdità è la parola chiave.”

 
 
 

 



 

 

 

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