UN PROGETTO DI ALFREDO ACCATINO

Viaggio non scontato tra artisti e visionari da tutto il mondo, molto lontano dai soliti nomi. Non esisterebbero le avanguardie senza maestri sconosciuti alla massa (ma certo non a musei e collezionisti). E non si sarebbe formata una cultura del contemporaneo senza l’apporto di pittori, scultori, fotografi, designer, scenografi, illustratori, che in queste pagine vogliamo riproporre. Immagini e storie del '900 – spesso straordinarie - che rischiavamo di perdere o dimenticare.


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domenica 15 novembre 2020

PIETRO GUIDA. IL MAESTRO CHE GUARDA I 100 ANNI.

C’è qualcuno che a 99 anni si è fatto un regalo. Una festa in un castello. A Copertino, Lecce, dove una serie di figure a grandezza naturale danzano, si baciano, parlano, creando una seconda vita parallela, più moderna emozionante di Second Life. La festa l’ha voluta Pietro Guida, un grande maestro italiano, nato quando ancora il cinema era muto, abilissimo nel disegno, commovente nella scultura, dove si vede la lezione avuta da Arturo Martini.



Pietro Guida nasce infatti a S. Maria Capua Vetere (Caserta) nel 1921 ma dagli anni cinquanta vive e lavora a Manduria (TA) dove aveva fatto il servizio militare insieme ad intellettuali come Michele Prisco, Mario Pomilio, o artisti come Enrico Accatino.  Pietro Guida è nato a S. Maria Capua Vetere (Caserta) nel 1921. Consegue il diploma di scultura all'Accademia di Belle Arti di Napoli nel 1947 e aderisce al Gruppo Sud, divenendo uno dei protagonisti del rinnovamento culturale del capoluogo campano, il cui messaggio porterà a la Quadriennale romana.

Dal 1960 al 1975 la produzione di Guida è caratterizzata dall'abbandono del dato naturalistico e dei mezzi tradizionali del fare scultura, per adoperare materiali industriali grezzi, come mattoni, galpomice, tubi eternit, ferro e acciaio secondo i dettami di un impegno civile che in quegli anni impera. 

La produzione in seguito ritornerà al figurativo, con una creatività che prosegue e si rinnova anche in tarda età, come succede solo ai cavalli di razza, con una freschezza e una voglia di sperimentare, eesempio di una vita dedicata all’arte.

 







 

sabato 14 novembre 2020

L’UOMO CHE SAPEVA FERMARE IL TEMPO. Harold Eugene "Doc" Edgerton,

Harold Eugene "Doc" Edgerton, noto anche come “Papa Flash”, era un professore di ingegneria elettrica presso il Massachusetts Institute of Technology. È a lui che viene in gran parte riconosciuto il merito di aver trasformato lo stroboscopio da uno strumento di laboratorio oscuro in un sistema evoluto per catturare immagini, capace di fermare quello che nessun occhio umano era mai riuscito a fare. Un salto in avanti totale su una strada che già aveva aperto con tecnologie puramente manuali un altro pioniere come Eadweard Muybridge (1830 – 1904) un stato un fotografo britannico, il primo a fermre nel 1887 il galoppo di un cavallo.
 


Le sperimentazioni fotografiche di Edgerton cominciano nel 1932, ma nel 1937 inizia un rapporto di lunga durata con il fotografo statunitense di origine albanese Gjon Mili, trasformando una ricerca teorica in qualcosa di molto diverso. I due si servono di apparecchiature stroboscopiche e di particolari tipi di flash elettronici che danno loro modo di produrre fotografie incredibili, prima di allora mai viste. La luce arrivava a lampeggiare fino a 120 volte al secondo, producendo fotografie di grande impatto, che ritraevano momenti impercettibili all’occhio umano. Vengono registrati così su pellicola una serie di movimenti ravvicinati, tradotti in immagini multiple grazie ai lampeggiatori elettronici che scattano più volte al secondo in un ambiente completamente buio. Edgerton, aiutato da Charles Wykoff, sviluppa poi una nuova fotocamera che prende il nome di Rapatronin (RAPid Action elecTRONIC). Questo apparecchio fotografico è capace di esporre le immagini in un tempo di soli 10 nanosecondi, motivo per cui venne utilizzato principalmente per immortalare le reazioni dei primi millisecondi durante le esplosioni dei primi test nucleari.

Il sistema di illuminazione flash ultrarapido (fino a 1/1.000.000 di secondo) gli consentì di catturare quelle che ormai sono diventate delle icone, come gli schizzi prodotti da una goccia di latte (1936) o l’impatto di una pallottola su una mela (1954) la cui tirartura fotografica a 500 esemplari viene oggi trattata intorno ai 30,000 dollari.

 



 



 

martedì 10 novembre 2020

VERA PAGAVA. DALLA GEORGIA COME AMORE.

Vera Pagava (1907 – 1988 ვერა ფაღავა) artista georgiana. Nata a Tbilisi da una famiglia borghese si trasferisce in Germania con la sua famiglia nel 1920, pochi mesi prima che la Georgia entrasse a far parte dell'Unione Sovietica. Si stabiliscono infine a Parigi dove rimarrà tutta la vita, mantenendo un forte legame con la sua terra.  

Studia pittura con André Lhote e con Roger Bissière presso l'Academie Ranson. Durante la seconda guerra mondiale presta servizio come infermiera negli ospedali militari, per poi tornare a esporre.

La sua pittura appare rarefatta e luminosa, come una giornata di nebbia invasa dal sole. Il suo lavoro è passato dal figurativo all'astratto tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta; ha spesso usato forme geometriche e toni caldi e grigi nei suoi lavori. " Vera Pagava sussurra, o quasi”, ha commentato un critico.

 



 


 

FELICE RIX-UENO. VIENNA-KYOTO NO STOP.

All’inizio del novecento l’Impero Austroungarico è la più debole delle grandi potenze, e già si possono leggere i segnali che porteranno alla sua dissoluzione. In questo contesto Vienna celebra il suo ruolo di capitale imperiale sull’abbrivio dei successi dei decenni precedenti ospitando le nuovi pulsioni di un secolo destinato a cambiare tutto. Freud ribalta l’abituale conoscenza dell’animo umano, Otto Wagner spinge in avanti le idee costruttive, Gustav Klimt, Egon Schiele, Oskar Kokoschka, Richard Gerstl, iniziano con la Secessione Viennese la grande età delle avanguardie. Forse si sa poco, ma Vienna diventa anche la “città delle pittrici” recentemente esplorata in una grande mostra al Belvedere. 


Felix/Felice Rix-Ueno carta parati 1924

Figure fra loro molto diverse, donne sposate, spregiudicate, socialiste alle conservatrici, cattoliche, esuli, di cultura ebraica, dalle più tradizionaliste alle più sperimentaliste in fatto di stile. Come cita la presentazione della mostra “…si comprese, anche con un certo disappunto non privo di timori, come le donne avvertissero l’urgenza di raccontare il loro corpo ma anche il loro animo, dimostrando le proprie ambizioni e capacità ma anche liberando una voce che per troppo tempo aveva taciuto.” Anche se a un certo punto l’Accademia chiuderà loro le porte avranno la possibilità di studiare all’estero, come Helene von Taussig, Lilly Steiner, Helene Funke, mentre un ruolo importante presenta la Scuola d’Arte Femminile, fondata dal pittore Adalbert Franz Seligmann.

 



Tra loro una figura singolare, destinata a gettare un ponte tra cultura occidentale e Giappone. Si chiama Felice Rix (nome usato per uomini e per donne) e nasce nel 1893 a Vienna.
“Lizzie” come si fa chiamare dagli anici studia presso la Kunstgewerbeschule (Scuola di arte applicata) di Vienna dal 1913 al 1917  con Josef Hoffmann, uno dei maggiori architetti austriaci e ininzia quindi a lavorare alla Wiener Werkstätte. Lì inizia a disegnare carta da parati e tessuti, ma anche ceramiche, vetro, legno, perline e accessori di moda applicando il nuovo concetto di industrializzare la produzione di elementi decorativi studiati da designer. Espone alla Vienna Modeausstellung (Mostra di moda) del 1915, alla Vienna Kunstschau (Mostra d'arte) del 1920, all'Esposizione internazionale di Parigi di arti decorative e industriali moderne del 1925, a L'Aia mostra del 1927/1928. Sono vere e proprie opere di arte moderna, astratta, geometrica e optical. È intraprendente, simpatica, affascinante nei suoi lineamenti irregolari. Nel 1925 sposa l'architetto giapponese Isaburo Ueno, che lavorava per lo studio di architettura di Hoffmann (e con Bruno Taut) membro fondatore della International Architecture Society of Japan. Rix-Ueno e dopo alcune visite in giappone, decide di trasferirsi a Kyoto dove continua a lavorare nel settore delle arti decorative miscelando in modo magistrale due diverse concezioni del mondo, divenendo una figura unica nel suo genere.

Guardata con sospetto durante il conflitto, dal dopoguerra insegna alla Kyoto City University of Arts. Il National Museum of Modern Art descrive il suo lavoro come "una dimostrazione della fusione delle sensibilità di Vienna e Kyoto". Muore a Kyoto nel 1967, quattro anni dopo il marito.


Isaburo Ueno e a Bruno Taut a Vienna




lunedì 12 ottobre 2020

VAI AL MERCATINO E SCOPRI COME HITLER ACQUISTAVA ARTE MENTRE IL MONDO SPROFONDAVA.





Ed ecco che dal nulla compare una storia che non ti aspetti. Così, acquisti una lettera e scopri che si tratta, in realtà, di un documento inedito. La minuta della traduzione dal tedesco (quasi certamente) della lettera del Colonello Wenner Comandante supremo delle SS e della Polizia nel nord d'Italia allo scultore Leone Tommasi di Pietrasanta.

C’è una bella notizia, scrive il colonnello, il Führer ha deciso di acquistare il ritratto di Beethoven e le cinque opere ispirate al ciclo beethoveniano (La Pastorale). Opere di quello stile retorico, infarcito di un romanticismo realistico basato sui modelli classici, eseguite presso il laboratorio Battista Vannucci, Pietrasanta su bozzetto di Tommasi. Del resto l'uomo nudo era la rappresentazione più comune dell'ariano ideale e la forma fisica dell'uomo e della donna nazisti ideali non mostrava imperfezioni.

 

Ora non posso sapere se poi l’acquisto sia andato a buon fine, se prevedeva la realizzazione in marmo o in bronzo, ma le opere e i bozzetti sono noti e ospitati nel Museo dei Bozzetti.

La cosa è interessante è che Hitler lo fa, e spende 325.000 lire (l’equivalente di 108.000 euro di oggi per arricchire la sua collezione nel mese nel quale inizia il tracollo della guerra con l'Afrikakorps tedesco e le truppe italiane che si arrendono in Tunisia, gli americani preparano lo sbarco in Sicilia e Josef Mengele viene nominato Comandante della sezione medica del campo di concentramento di Auschwitz.

L’intermediario è il Gen. Colonello Eugene Wenner (1912 - ?) aiutante di campo del generale Karl Friedrich Otto Wolff e in seguito SS-Obergruppenführer e di generale delle Waffen-SS, governatore Militare e di Comandante supremo delle SS e della Polizia nel nord d'Italia con abitazione in via Clitunno come ho potuto verificare da altri documenti. Destinato  a scappare dopo la guerra con Eugene Dollmann da un campo di prigionia americano.

 

Gen. Colonello Eugene Wenner, a destra

Un documento presentato qui per la prima volta, che forse offre un ulteriore tassello per capire le dinamiche del gusto dell’arte Nazista, tornata recentemente oggetto di studio anche in Germania, portando a esporre nuovamente opere rimaste per 80 anni nei musei. Con la speranza che possa offrire anche nuovo materiale al Museeo di Pietrasanta e al ricordo dello scultore.





LEONE TOMMASI (Pietrasanta, Lucca, 1903-1965)
Diplomatosi alla Scuola di Belle Arti di Pietrasanta (1918-1921), e poi uditore all'Accademia di Belle Arti di Roma, dove incontra Angelo Zanelli, importante per la sua formazione, si trasferisce a Milano, dove nel 1926 si diploma all'Accademia di Belle Arti di Brera e vince il "Concorso di I Grado" per il Pensionato Artistico Nazionale.

Tornato a Pietrasanta nel 1927, sposa Carolina Ferroni da cui avrà quattro figli. Da allora insegna per vent'anni all'Istituto d'Arte "Stagio Stagi" e realizza le proprie opere nello suo studio. Non si allontana dalla Versilia, tranne che per alcuni viaggi di lavoro, tra cui quelli in Argentina nel 1950-'54 per le "sculture monumentali del Palazzo dell'Aiuto Sociale", per il progetto del "Monumento a Eva Peron".
Volontariamente isolato per il desiderio di rimanere fuori dall'arte ufficiale che non approva, raramente accetta di partecipare ad eventi espositivi, tra cui si ricordano la collettiva "Artisti Versiliesi a Seravezza" nel 1936 e la "Mostra del Fiorino" a Palazzo Strozzi a Firenze (1962 e '65), città in cui nel 1990 è stata allestita presso l'Accademia delle Arti del Disegno una sua mostra postuma dei numerosi gessi conservati nel Museo dei Bozzetti di Pietrasanta.

 



martedì 23 giugno 2020

IL TEMPO BLOCCATO. CHRISTINA, 1897

Christina Elizabeth Frances Bevan è polvere, ed era più vecchia di vostra nonna, pace all’anima sua.
Nel 1897 ha però solo 16 anni in queste foto, magiche, vicino alla scogliera.
Era nata nel 1881 e morì nel 1981, figlia di Edwyn Robert Bevan (1870–1943), amico di O’Gorman. Eppure ci appare così viva, così contemporanea, da lasciare senza fiato. Merito degli “Autochrome”, inventanti dai fratelli Lumìere, utilizzati per colorare le fotografie di quegli anni, particolarmente sensibili al rosso.


Mervyn O’Gorman era un ingegnere inglese di 42 anni quando scattò queste fotografie a Christina a Lulworth Cove, nella contea inglese del Dorset. Le fotografie ritraggono Christina mentre indossa un costume da bagno rosso e una mantella color rubino. Il tempo è relativo.








Lulworth Cove oggi




domenica 24 maggio 2020

GIULIO CERALDI STA COSTRUENDO IL SUO TEMPIO. QUAL E’ IL VOSTRO?

I miei genitori sono morti anni fa. Poi, ho venduto l'appartamento. Quando passo lì sotto guardo la luce della cucina, accesa, di sera. E il ricordo si trasforma in suoni e odori. Non credo di essere più credente. Forse solo qualche dubbio. Ma una certezza la ho. Il mio tempio è una luce al quinto piano.

Ognuno ha così il diritto di costruire i propri dei e codificare la propria religione. Io fare un tempio per gli antenati a cui lasciare piccoli offerte e una candela accesa. Qual'è il vostro?
Giulio Ceraldi sta delineando il proprio, credo sotto forma di una grande pala d’altare, 30 icone, due grandi tavole, con una cosmogonia di cui non comprendo il significato, ma che trovo affascinante. Piegando la lamiera come un fabbro medievale, anche se alcuni tratti richiamo il segno di Cucchi e Clemente,
E’ un lavoro in divenire, che il CoronaV ha fermato al debutto, costringendolo a rimandare il vernissage romano da lungo tempo preparato. Sarà lui, il Ceraldi, a raccontarne il significato della sua nuova e laboriosa opera, quando e come vedrà. Con un libro in uscita.
Tranquilli, nessuno spoiler.
Non mostrerò quindi il totale, ma solo alcuni suoi frammenti, quelli che potrebbero trovare studiosi fra qualche migliaio di anni, interrogandosi su chi eravamo. E in che cavolo credevamo.
 


Giulio Ceraldi (1948), campano, è pittore e scenografo teatrale queste le note biografiche ufficiali.
Si forma all’Istituto d’Arte Filippo Palizzi di Napoli, dove successivamente insegnerà discipline pittoriche. Inizia la sua attività espositiva nel 1972 presso la Galleria Mediterranea di Napoli. Partecipa alla X QUADRIENNALE – La nuova generazione, Roma 1975. Spinto dalla necessità di far evolvere il proprio linguaggio artistico, esce dalla dimensione individuale dello studio, a cui lo costringe la pittura e approda a quella corale del teatro. Nel 1979 si trasferisce a Roma. Collabora come pittore al progetto TRACCE di Antonio Neiwille e come attore ad alcuni suoi spettacoli teatrali negli anni 1989-92 . Realizza sculture ed oggetti di scena nello spettacolo teatrale I Persiani con scene e regia di Mario Martone al Teatro Greco di Siracusa 1990. Collabora come scenografo in alcuni spettacoli teatrali del regista Claudio Collovà. Insieme al musicista Marco Ariano organizza laboratori, stages, performans (1998-2002). Ha preso parte a mostre nazionali e internazionali e collaborato con il Museo delle Trame Mediterranee di Gibellina. Collabora da anni presso le  Officine Ouragan - compagnia di ricerca e sperimentazione teatrale - diretta da Claudio Collova.

Scenografia I Persiani, regia di Mario Martone 1990 - teatro greco di Siracusa

L’opera: No Humansa a Dune