Provate a immaginare di
prendere una colonna vertebrale e di incurvarla a forza in avanti, e poi,
ancora, di lato, come se voleste strizzare un panno bagnato. E, poi, congelarla
nel tempo.
Ecco, questo è quello che
succede a chi viene colpito da un’alterazione morfologica chiamata cifoscoliosi. In mancanze di cure
adeguate comparse solo negli ultimi decenni, camminare diventa penoso, avverti dolori
in tutto il corpo e con l’avanzare dell’età iniziano problemi respiratori e
cardiaci. Questa è la malattia che Maria si porta dietro di sé, come una
condanna, sin dalla nascita, causata forse da una caduta accidentale della
madre in gravidanza.
María Gutiérrez Cueto (1881,
Santander), è spagnola da parte di padre, e franco-polacca da parte di madre, anche
se trascorrerà metà della sua vita a Parigi, per divenire una grande, misconosciuta,
protagonista delle avanguardie.
Un talento cristallino, superiore
a quello di molti altri pittori cubisti della sua generazione, come Albert
Gleizes, Auguste Herbin, Louis Marcoussis, Jean Metzinger. Sicuramente la
maggiore interprete femminile rispetto alle altre donne del movimento come
Sonia Terk Delaunay, Alice Halicka de Marcoussis, Marie Laurencin.
Sin da bambina è la vittima
ideale dei compagni di scuola, che la bullizzano e che la chiamano “Bruja” (la Strega)
per la basse statura, e perché, per camminare, è costretta a usare il bastone. Il
dolore fisico e morale, sarà infatti una presenza costante della sua vita, ma
sarebbe errato fermarsi a questo per cercare di inquadrarla, come emerge dalle
sue lettere all’amico Andrè Lhote, cariche di ironia, grinta, voglia di vivere.
E come sottolinea María Jose Salazar, Conservadora del Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía di Madrid nel catalogo
della mostra che ha ripresentato al mondo la sua opera: “Anche se è vero che il
suo aspetto è stato un fattore determinante nella sua esistenza, il suo
carattere forte e ostinato le ha fatto guadagnare il rispetto dei colleghi, che
la hanno sempre trattata alla pari, in un ambiente che all’epoca era comunque dominato
culturalmente dagli uomini. Molti dei suoi contributi artistici sono stati però
dimenticati per il fatto che alla sua morte, sebbene avesse rapporti con
importanti gallerie in Francia e in Belgio, tutte le sue opere furono ritirate
dalla famiglia d’origine. Così da rendere difficile diffondere il suo lavoro,
condannandolo a un lungo periodo di oscurità.”
Il padre, giornalista e
direttore del periodico Atlantico, che
proviene da una famiglia dove arti e lettere sono di casa, nota la sua naturale
predisposizione e la sprona a disegnare e a entrare nel 1903 alla “Real
Academia de Bellas Artes de San Fernando” dove studia sotto Manuel
Benedito ed Emilio Sala che le insegna la "precisione"
e quell’“esuberante uso del colore" che saranno elementi caratterizzanti delle
sue prime composizioni, tanto che di lei Diego Rivera, scriverà addirittura:
"Nessun colorista del nostro tempo la supera.”
Il padre,
che grande importanza avrà nella sua vita, muore purtroppo nel 1904 e solo
grazie a una borsa di studio assegnata nel 1908 dal Comune di
Santander che Maria può continuare la sua istruzione artistica all'Academie
Vitti a Parigi, sotto gli insegnamenti di Kees van Dongen.
Siamo nell’anno precedente
allo scoppio della prima guerra mondiale ed entra a far parte della “Section d'Or”, associazione di pittori e
critici d'arte che si identificano in un ramo del cubismo noto come orfismo, termine coniato dal poeta francese
Guillaume Apollinaire.
L’arte in un certo senso la
affranca, le permette di escorcizzare le sue angoscie, ma anche di frequentare
persone libere mentalmente, in uno dei momenti più straordinari del ‘900,
stringendo amicizia con Diego Rivera (che probabilmente lei ama, non
ricambiata), Jacques Lipchitz, André Lothe. Ma soprattutto Juan Gris, il
pittore cubista spagnolo con il quale condividerà i principi estetici, il suo
approccio analitico.
Nel 1914, allo scoppio del
primo conflitto mondiale, Maria lasciò Parigi per fare ritorno a Madrid, nella
casa della madre, dove allestì uno studio che poi divise con alcuni degli
artisti conosciuti in Francia. Nel 1915 le sue opere furono presentate a
un'esposizione organizzata dallo scrittore Ramón Gómez de la Serna al Museo de Arte Moderno di Madrid, Los pintores íntegros (artisti verticali).
Fu poi contattata per insegnare arte a Salamanca, ma delusa dall'esperienza
dopo una serie di incomprensioni, nel 1918 decise di trasferirsi -
definitivamente a Parigi, buttando il cognome Gutiérrez nella Senna per diventare
per tutti solo Marie Blanchard.
Storici come Waldemar
George e Maurice Raynal sottolineano tuttavia il forte carattere ispanico che
emerge nell’uso dei toni del verde, del nero e del marrone, che prosegue
nell’evoluzione del suo lavoro, dalle composizione figurative inziali, per poi
passare alla fase cubista, sino al “ritorno all’ordine” del secondo periodo
parigino, che la riporta verso uno stile figurativo in cui mantiene la
grammatica analitica, mentre la composizione volumetrica e luminosa la avvicina
alle opere di Cézanne. Anche se esprime con il passare del tempi, sempre più spesso
la solitudine, la perdita, il desiderio, la frustrazione per l'impossibilità di
essere madre, come nelle maternità, o nella toccante tela “Prima comunione”
1914-20.
A Parigi viene supportata economicamente
dall’amico e mecenate Fank Flausch (1878-1926), ma dopo una serie di mostre
tenute in Francia alla Galleria L'Effort Moderne e al Salon des Indépendants e la mostra promossa nel 1921 dal Society of Independent Artists a New
York, la richiesta delle sue opere aumenta. Un successo illusorio, che dura
pochi anni.
Nel 1926 muore Frank
Flausch, l’anno dopo, a soli quaranta anni, l’amico Juan Gris per una crisi renale conseguenza di problemi cardiaci, e Marie cade in uno stato
di depressione, per uscire dalla quale si riavvicina alla religione. Pensa
addirittura di farsi monaca e di chiudersi in un convento. La sorella Carmen e
i nipoti vengono a vivere con lei a Parigi, alleviando la sua solitudine, ma
peggiorando la sua già fragile situazione finanziaria.
Riprende a dipingere, ma la
salute subisce un ulteriore peggioramento causato dalla Tubercolosi,
allonantandola questa volta per sempre dal lavoro.
Muore il 5 aprile 1932 a
Montparnasse all'età di 51 anni.
Toccante il discorso “Elegia
a Maria Blanchard” con cui Federico Garcia Lorca volle celebrarla all'Ateneo
di Madrid nel 1932, a pochi mesi dalla morte:
»(...) La
lotta di Maria Blanchard era dura, aspra, nodosa, come un ramo di quercia,
eppure non mostrò mai risentimento, ma al contrario, fu sempre dolce, pia e
vergine. Ha sopportato la pioggia di risate che ha causato, involontariamente,
il suo corpo, da buffone d'opera, e le risate che le sue prime mostre hanno provocato…
»(...) Il
combattimento tra angelo e il demonio è stato espresso matematicamente nel tuo
corpo.
(...) Strega e fata, tu eri un esempio rispettabile di lacrime e chiarezza spirituale.
(...) Strega e fata, tu eri un esempio rispettabile di lacrime e chiarezza spirituale.
(...) Ti ho sempre chiamato “gobba” e non ho
detto nulla dei tuoi occhi belli e pieni di lacrime, con lo stesso ritmo con
cui il mercurio sale attraverso il termometro, né ho parlato delle tue mani magistrali.
(...) Gli uomini capiscono le cose poco e io
ti dico, María Blanchard, come amico della tua ombra, che hai i capelli più
belli che siano mai stati visti in Spagna. "