UN PROGETTO DI ALFREDO ACCATINO

Viaggio non scontato tra artisti e visionari da tutto il mondo, molto lontano dai soliti nomi. Non esisterebbero le avanguardie senza maestri sconosciuti alla massa (ma certo non a musei e collezionisti). E non si sarebbe formata una cultura del contemporaneo senza l’apporto di pittori, scultori, fotografi, designer, scenografi, illustratori, che in queste pagine vogliamo riproporre. Immagini e storie del '900 – spesso straordinarie - che rischiavamo di perdere o dimenticare.


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venerdì 26 aprile 2013

STUDIO MANASSE TRA AVANGUARDIA E PORNOKITSCH

Fondato dai coniugi Olga Spolarics e Adorjan Wlassics, l'Atelier Manasse/Studio Manassè fu attivo a Vienna tra il 1922-1938. Due parole possono caratterizzare la produzione fotografica di Manasse: glamour (alcuni direbbero kitsch) e erotismo. A queste caratteristiche si abbina la capacità di creare uno stile e un genere assolutamente riconoscibile. Tra avanguardia e pornokitsch.
 



Lo studio Manasse acquisita negli anni Venti, un alto grado di popolarità attraverso fotografie sexy e glamour,in prevalenza di donne. Utilizzano tecniche di ritocco artigianali e innovative per creare immagini surreali e noir con un simbolismo erotico malcelato sotto una maschera di stile glorioso, eleganti pose e costumi futuristici e stravaganti. Intorno allo studio si crea così una piccola corte di costumisti e attrezzisti, e posare nude per l'atelier diventa quasi una moda, tanto che si lasciano convincere anche signore della borghesia viennese.





“…Studio Manasse, which flourished in the 1930s in Vienna, captured morethan just portrait photography bursting with erotic charge; it immortalized the fluid state of beauty and the “new woman”: confident in her own sexuality as she struggled to redefine her position in the modern world. Each picture offers a conflict of concepts, as provocative poses are presented in such traditional roles that the cynicism intended renders them humorously absurd . Adorjan and Olga Wlassics, a husband-and-wife team, founded Studio Manasse in the early 1920s. The first Manasse illustrations appeared in magazines in 1924, a booming industry at the time, as the movie industry skyrocketed and publications aimed to satisfy a public obsessed with glimpses into the world of glamour. Attracting some of the leading ladies of the time from film, theater, opera, and vaudeville,Studio Manasse created masterpieces, employing all the techniques of makeup, retouching, and overpainting to keep their subjects happy while upholding an uncompromised artistic vision.Molded bodies were dreams with alabaster or marbel-like skin; backgrounds were staged so that the photographer could control each environment. And as their art found a home, the Wlassics found themselves able to afford a pattern of life similar to those reflected in their photographs. Their clients ran the gamut, from the advertising agencies to private buyers. When the Wlassics opened a new studio ni Berlin, their business in Vienna was managed more and more by associates, until 1937, when the firm’s name was sold to another photographer. Adorjan passed away just ten years later; Olga remarried and died in 1969…”




SAUL STEINBERG: LA VITA E' UNA MASCHERA


Saul Steinberg. Nose Mask Photo by Irving Penn. New York, 1966

Pochi artisti del ‘900 sono stati celebrati in vita e dimenticati solo pochi anni dopo la loro morte, pur riconoscendo a loro una qualità nettamente al di sopra della media. E’ questo il caso di Saul Steinberg (Râmnicu Sărat, 15 giugno 1914 – New York, 12 maggio 1999), rumeno di nascita (come Brancusi), americano per scelta.

Cresciuto in una famiglia della media borghesia ebraica, Saul Steinberg passò la giovinezza in Romania, che ricordò sempre come "un paese in maschera", fino a cominciare gli studi universitari in filosofia a Bucarest. Nel 1933 partì per Milano, dove si laureò in architettura al Politecnico, pubblicando vignette umoristiche sulla rivista satirica Bertoldo.
Il periodo italiano lasciò un segno importante nella vita di Steinberg, che per tutta la vita mantenne contatti con artisti e intellettuali italiani, tornando più volte a lavorare in Italia. Nel 1940, a causa delle leggi razziali, fu costretto a lasciare l'Italia per gli Stati Uniti, dove cominciò a lavorare per il New Yorker. Fu l'inizio di un sodalizio fruttuoso (642 illustrazioni e 85 copertine), durato per quasi sessant'anni.

Inge Morath - la serie di scatti che la resero celebre

Nel 1958 la fotografa austriaca Inge Morath si recò a casa di Steinberg a New York per realizzare un ritratto dell'artista, che la accolse indossando una delle sue maschere di cartone. Nacquero così, im maniera del tutto casuale i primi scatti di questa straordinaria sequenza.
In seguito i due collaborarono per sette anni a ritratti fotografici, singoli o di gruppo, in cui i soggetti posavano con le maschere di Steinberg.
Steinberg partiva dall' idea, centrale nella sua arte, secondo cui ognuno di noi indossa una maschera reale o metaforica. Questa ne è la sua controprova.



«Il disegno come esperienza e occupazione letteraria mi libera dal bisogno di parlare e di scrivere. Lo scrivere è un mestiere talmente orribile, talmente difficile... Anche la pittura e la scultura sono altrettanto difficili e complicate e per me sarebbero una perdita di tempo. C'è nella pittura e nella scultura un compiacimento, un narcisismo, un modo di perdere tempo attraverso un piacere che evita la vera essenza delle cose, l'idea pura; mentre il disegno è la più rigorosa, la meno narcisistica delle espressioni. »

(Saul Steinberg, intervista di Sergio Zavoli, 1967)


giovedì 25 aprile 2013

IL MUSSOLINI CHE FA "GIRARE LA TESTA" SECONDO RENATO BERTELLI


Può la testa vigile di Mussolini, il vate che “tutto vede e tutto controlla”, essere oggi un oggetto di culto. Una opera d'arte di straordinaria modernità, capace di influenzare l’opera di artisti moderni come il fotografo Robert Mapplethorpe o lo scultore Tony Cragg?
Sì, anche perché Renato Bertelli rappresenta un caso unico nel panorama della scultura italiana del Novecento: il caso di un artista il cui nome è rilanciato in tutto il mondo non per la sua lunga attività svolta nell'ambito della "tradizione", ma per una forma plastica ideata nel 1933 durante una breve esperienza tra i "Gruppi Futuristi Indipendenti" di Antonio Marasco. Stiamo parlande de il Profilo Continuo di Benito Mussolini, o Dux, la cui morfologia si stacca nettamente dalla pletora dei ritratti mussoliniani, attraverso una rilettura di alcuni principi futuristi enunciati da Boccioni. L’opera incontra un grande successo e vennero realizzati numerosi multipli per decorare le sedi di tutto l’impero, anche in previsione dell'Esposizione Universale. Degli esemplari di grande formato di questa pregevole opera di sintesi e dinamismo, risultano conservati attualmente solo pochi pezzi, tra cui la copia esposta presso la Galleria d'Arte Moderna di Palazzo Pitti a Firenze e un'altra all'interno del Imperial War Museum di Londra. Si presume che altre opere di grandi dimensioni, molte delle quali realizzate in marmo, vennero irrimediabilmente distrutte durante la caduta del Regime Fascista nel luglio 1943.


Renato Bertelli, 1933
Tony Cragg, Bad Guys, 2005.




Renato Bertelli (Lastra a Signa, 1900 - Firenze, 1974) si forma all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Nei primi anni Trenta entra nella sfera del futurismo toscano, ricoprendo nel 1933 il ruolo di “Capogruppo Signa” tra i ‘Futuristi Indipendenti’ diretti da Antonio Marasco. In quel periodo, oltre a studi sull’‘aeropittura’ e sull’arte sacra futurista, crea il Dux a Profilo continuo, ovvero la testa di Mussolini visibile da ogni punto, scultura che, brevettata il 26 luglio 1933, venne serialmente riprodotta come “sopra-mobile” in diverse materie e dimensioni. Una forma nella quale il richiamo classico del Giano bifronte confluisce nei principi dinamici futuristi enunciati da Boccioni riguardo la linea curva, elemento privilegiato negli anni Trenta dai più moderni architetti italiani. Il Profilo Continuo è considerato come testata d’angolo del secondo futurismo, un’opera d’arte richiesta nelle più importanti mostre in ogni parte del mondo.

1932
Dux (1929) by ThayahT (Ernesto Michahelles)
Thayaht - Il Grande Nocchiero


domenica 21 aprile 2013

LOUIS LOZOWICK.IL POETA DELL'ARTE INDUSTRIALE.



Pochi hanno raccontato la visione industriale quanto Louis Lozowick (Ludvinovka, Ucraina 10 dicembre 1892 - 9 settembre 1973) (UKR: Луї Лозовик), nato nell’impero russo, trasferitosi negli Stati Uniti nel 1906 e morto nel New Jersey. Una carriera di oltre 50 anni, che passa dalle atmosfere deco, per poi confluire nel "precisionismo". Sembra quasi ripercorrere, in un linguaggio del tutto diverso, le atmosfere di Luigi Piranesi.
 

Lozowick frequenta Kiev Art 1904-1906 prima di emigrare negli Stati Uniti, dove continua i suoi studi presso l'Accademia Nazionale di Design (New York) e la Ohio State University. Dal 1919-1924 Lozowick viaggia in tutta Europa, passando la maggior parte del suo tempo a Parigi, Berlino e Mosca. A metà degli anni 1920  inizia a fare le sue prime litografie.
Nel 1926 si unisce al comitato di redazione della rivista di sinistra, New Masses, vicina al costruttivismo e al movimento De Stijl. Questi, stili lineari dai contorni netti, evidenti in una litografia intitolata "New York (Brooklyn Bridge)" suggeriscono la possibilità di una riformulazione funzionale del mondo.

Lozowick era molto interessato allo sviluppo dei movimenti russi d'avanguardia e  pubblicò una monografia sul Costruttivismo russo dal titolo Arte Moderna russa.
Nel 1943
Lozowick si trasferì a New Jersey, dove continuò a dipingere e a realizzare litografie La condizione umana è rimasto un tema costante della sua arte, e un interesse continuo in natura appare più frequentemente nelle sue opere successive.  

Crane (1928)
Hudson Bridge (1929)

High Voltage (1929)
Blast Furnaces (1929)
Tanks #2 (1929)
Steam Shovel (1930)
Construction #2 (1930) / Mid-Air (1931)


Subway Construction (1929)

Radio City (1932) Into the Canyon (1932) / Above the City (1932) Granaries to Babylon (1933) Train and Factory (1933) / Spanning the Hudson (1936) Open Mine (1937) Through Brooklyn Bridge Cables (1938) Wood (1943) Oil (1943) Production (1944) Transportation (1944)