UN PROGETTO DI ALFREDO ACCATINO

Viaggio non scontato tra artisti e visionari da tutto il mondo, molto lontano dai soliti nomi. Non esisterebbero le avanguardie senza maestri sconosciuti alla massa (ma certo non a musei e collezionisti). E non si sarebbe formata una cultura del contemporaneo senza l’apporto di pittori, scultori, fotografi, designer, scenografi, illustratori, che in queste pagine vogliamo riproporre. Immagini e storie del '900 – spesso straordinarie - che rischiavamo di perdere o dimenticare.


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domenica 16 gennaio 2011

SEBASTIANO CARTA. FUTURISTA ESPRESSIONISTA. POETA VISIVO.

“Noi siamo perversi, o illusi incantati, o deserti. 
Sono solo. 
Dipingere è un togliersi di mezzo”. 
Sebastiano Carta


Me lo ricordo, quando ero bambino, in via Chiana, a Roma, angolo via Volsinio. Fumava, e parlava praticamente da solo con un lungo cappotto scuro e i capelli bianchi e lunghi mossi dal vento e uno strano berretto da un lato. Poi una volta finito di fumare, continuando a parlare con mio padre, che lo conosceva da sempre, iniziò con la cicca a disegnare sul muro di granito del palazzo una faccia stralunata che a me sembrava quella di un nano con un cilindro.
Poi prese da terra un pezzetto di qualcosa e disegnò in alto una stella cometa, scrisse una cosa tipo “FIUUUUUUU!”, e mi sorrise, come se mi avesse regalato l’intera parate.
Era quasi Natale e quello era un Re Mago. E quel giorno gli scappava di disegnare, a Seb, come in trance.

Ecco. Ci sono persone a cui le cose vengono tutte facili. Altre che, per destino, o forse per scelta in/consapevole, sono costrette a lottare tutta la vita per vedere riconosciuto non solo il proprio valore e il proprio talento, ma anche la propria storia. Come Sebastiano Carta pittore e poeta, tra una sigaretta, un bicchiere condiviso con gli amici, e mille disegni lasciati sulla via. E in questo la memoria digitale spesso aiuta, perché porta a ritrovare frammenti dispersi, che magicamente possono ricomporsi e ridare vita a un volto, a un quadro, a una storia.
Forse anche questo è stato il suo destino, un futurista della prima ora, uno di quelli che Marinetti chiamò "...uno dei miei ascari più audaci...", troppo spesso ignorato nelle grandi rassegne dedicate al movimento. E ancora molto tempo ci vorrà prima di rivedere ristampate le sue fantasmagoriche composizioni poetiche proseguite sino agli anni ’70 che lo pongono tra i precursori della poesia visiva in Italia. E di ritrovare, e storicizzare, molte delle sue opere dei primi anni, oggi di difficile reperibilità, dove sperimenta ad esempio la macchina da scrivere per realizzare immagini in un percorso visivo molto vicino a quello di Bruno Munari.

Nato il 4 Marzo 1913 a Priolo, in Sicilia, arriva a Roma dopo il trasferimento del padre, poliziotto, per stabilirsi al quartiere Trieste. Figurarsi come il padre come la prese quando seppe che suo figlio si era messo in testa di voler fare il poeta e il pittore. Tanto che, ventenne, va a far leggere le sue rime a Filippo Tommaso Marinetti che apprezza il suo scritto “Sistemazione Fisica” e lo coinvolge subito nel gruppo romano “…la poesia Parolibera, sintetica, astratta, frenetica, al Punto da sembrare disperata…

Già nel 1933 partecipa alle Parole Libere, legandosi a Carlo Belli e ai fratelli Bragaglia per poi entrare negli anni '40 nel Gruppo comasco futurista dei Valori Primordiali. NeI 1944, a Via Lariana, la casa di famiglia, fonda la “Casa Rossa”, gruppo di cultura antiborghese soprannominato l’Antisalotto Bellonci, che vede transitare Stradone, Ungaretti, Dorazio, Zavattini, Guttuso, legandosi poi di amicizia con Roberto Melli, Mazzullo e Antonio Marasco che, come lui, hanno scelto Roma come nuova città di elezione.
E con Guttuso, che è suo conterraneo e ha appena due anni più di lui, che è tornato a Roma dopo il settembre del 1944 superando a piedi la Linea Gotica, per attivare stremati e affamati a casa della madre di Sebastiano al quartiere con i pantaloni rattoppati, accolti come eroi.

Da quel momento la sua figura diventa sempre più autonoma e la sua pittura sempre più personale. Egli vaga nei suoi pensieri, sfiorando il surrealismo, esplorando gli angoli più misteriosi dell’espressionismo. E’ uno dei quegli autori che, quando conosci le sue opere, le riconosci sempre. E le riconosci subito. Dipinge e disegna su qualsiasi foglio con qualsiasi materiale e con qualsiasi tecnica arricchendo la composizione con parole e poesie. Tante volte, troppe volte, anche con feltro e pennarelli, tecnica che esposta alla luce, oggi svanisce, come il suo ricordo, azzerando molta della sua ultima produzione. Regalava i suoi disegni con la stessa facilità con la quale poteva arrabbiarsi se una cosa non gli andava a genio. Lo hanno anche truffato, come mi ha raccontato la figlia, quando vendette le sue opere in blocco a un gallerista, che non lo pagò mai e che probabilmente le ha svendute e disperse.
 
 
Autoritratto
Sebastiano Carta in un ritratto di Gianni Berengo Gardin


Ha partecipato a due Quadriennali, sviluppando una pittura diversa da tutti i suoi amici e compagni di viaggio alcuni spariti, come Guttuso, ormai troppo glamour per frequentarlo ancora.
Trova un impiego alla Banca d’Italia, che gli garantisce stabilità e inizia a esplorare sin dagli anni '50 un astrattismo concettuale che lo porta più vicino alla Bauhaus che alla pittura italiana, spesso sconfinando in area espressionista. Con un approccio al lavoro quasi da street artist ante litteram, tanto che lo scrittore Cesare Zavattini scriverà: "…quando stende davanti ai suoi amici i grandi fogli di pittura, si ricomincia ad amarlo e a stimarlo. Ci aggiriamo attorno a questi fogli, come alle figure che i pittori ambulanti fanno sui marciapiedi…”. Un percorso da cavaliere solitario, in seguito aggravato da difficoltà economiche.

La figlia Elisabetta, nel bel libro di memorie “Cuore di Scimmia”, scritto come per molti figli d’artista, per indagare ed esorcizzare il suo rapporto con il padre, così scrive: Da piccola credevo che Sebastiano fosse un orco, come quello delle favole, che mi era toccato per padre. La cosa non mi dava molto pensiero, sia perché ero così abituata all’atmosfera delle favole da confonderle con la realtà, sia perché gli orchi non erano poi così cattivi, tant’è vero che spesso si redimevano, come quello de La bella e la bestia o come il rospo che poi diventava principe. Pensavo che tutti ce la potessero fare a vincere la propria natura oscura, e quindi anche a lui davo una possibilità…”.

Colpito da ictus alla Montagnola dove abitava con la moglie nel 1973, e dove veniva chiamato “er pittore”, morirà tre giorni dopo a Roma, ad appena 60 anni.


 
Autoritratto, 1939

"
Sebastiano Carta nel 1940, ritratto di Roberto Melli

...
Sebastiano Carta, Opera anni '30/'40'
 
Sebastiano Carta, caduta libera, 1957


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Sebastiano Carta,fuga di passaggio, 1970

IL FONDO DEL CRATERE

Odora di zolfo e d’acido
ogni molle odissea di lava.

Su uno specchio
lentissimo di rosso
ferree pinne galleggiano.

Dolcissime leggende sul cristallo
adombrato di purpureo sonno
ove il deserto si fa più raro
e le piriti signoreggiano il cristallo.


 
     

1 commento:

  1. Che nostalgia di questi personaggi perduti in nuvole di sogni. Esistono ancora? Sono decine d'anni che non ne incontro piu'

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