Avevo un gatto che ero un pezzo di merda. Pace all’anima sua. Ma neanche tanto…. Eppure, per quanto fosse stronzo e vendicativo, con attacchi improvvisi e immotivati nel buio del corridoio, non posso negare che fosse un oggetto biologico affascinante, in continua e costante trasformazione. Con una personalità magnetica così forte da farmi capire perché gli egizi avessero eletto i gatti a divinità. C’è infatti più magia in un gatto che in molte deità ufficiali. Anche se quel gatto è un pezzo di merda.
Forse è questo che deve
aver colpito la psiche già disturbata di Louis Wain, un artista paradossalmente
conosciuto più in ambito psichiatrico che artistico. Pendolo perennemente oscillante
tra curiosità scientifica, qualità artistica anticipatrice, kitsch.
Nato il nel 1860, morto nel
1939, Louis fu all’inizio, semplicemente, un normalissimo, onesto, bravo illustratore
professionista per molti giornali inglesi, ma anche paesaggista e vignettista (grazie
agli insegnamenti della madre) con un gusto quasi esagerato per i dettagli,
probabilmente sintomo precoce della sua incombente malattia e della sua
crescente monomania: i gatti.
Wain raccontava che la sua
passione per gli animali fosse nata grazie al suo gatto bianco e nero Pete,
che faceva compagnia a lui e sua moglie, malata di cancro, quando questa
ancora era in vita. Wain ritraeva Peter in pose buffe antropomorfe, con
occhiali e cappellini, per divertire la donna. Quando questa morì, forse per
sfuggire al dolore di quella mancanza, continuò a ritrarre gli umani in veste
di felini e viceversa.
Wain era sempre stato considerato un soggetto affascinante, ma allo stesso
tempo strano e bizzarro (avendo un labbro leporino la madre non aveva voluto
mandarlo a scuola e lui aveva adottato modalità particolare di relazione con
gli altri). Con il passare del tempo, tuttavia, divenne sempre più eccentrico
fino alla comparsa, nel 1917, quando aveva 57 anni, di un quadro psicotico caratterizzato,
tra l'altro, dalla presenza di tematiche paranoidee, dalla convinzione che la
luce “tremolante“ dello schermo del cinematografo “rubasse” energia al suo
cervello. Iniziò, inoltre, a limitare le relazioni interpersonali e a
trascorrere buona parte della giornata rinchiuso nella sua stanza. Il
verificarsi di comportamenti aggressivi e violenti motivò nel 1924 il suo ricovero in un
ospedale per indigenti, lo Springfield
Mental Hospital.
La sua famiglia, composta
da cinque sorelle anch'esse 'marcate' dalla malattia mentale, non era infatti più
in grado di badare a lui. Paradossalmente, questa fu una fortuna, perché Wain,
che continuò a disegnare i suoi gatti sempre più colorati e psichedelici, venne
notato dallo scrittore H.G.Wells (autore de La Guerra dei Mondi) e tramite la
sua influenza fu trasferito in un ospedale migliore, dove potè passare il resto
dei suoi anni disegnando, in un giardino, circondato da piante e dai suoi amati
felini. Oltre a Peter, che fu sempre il suo modello preferito, vissero con lui,
per molti anni, la soriana Minna, il siamese Bigit e, ultimo, Leo, il persiano
rosso tabby.
Nei suoi dipinti i gatti subirono una decisa trasformazione nel corso degli anni, trasformazione che sembra essersi sviluppata col procedere della malattia: dai dipinti più raffinati raffiguranti gatti nobili passò a dipinti dall'aspetto psichedelico, dove gli occhi dei gatti diventavano enormi e le figure quasi esplose in figure geometriche coloratissime, un tratto considerato indicativo della sua psicosi. Con un segno che sembra presagire la pop art ma anche la street art. Con i fogli riempiti sino all’inverosimile, con un stile che ricorda un po’ le composizione di un altro grande artista alienato con Adolf Wolfli.
Dopo aver ritratto soriani e cappuccini, siamesi e gatti randagi negli atteggiamenti più svariati e con
stili diversi, chiuse il conto con la sua lunga e tormentata vita nella notte del 4 luglio 1939, a
Napsbury, nello Hertfordshire, a 79 anni. Che il Dio dei Gatti lo abbia in
gloria.
P.S. divertente il fatto che sia
diventato anche una icona del mondo dei tatuaggi, con la sue creazioni create e
replicate sia a colori che in monocromia.
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