UN PROGETTO DI ALFREDO ACCATINO

Viaggio non scontato tra artisti e visionari da tutto il mondo, molto lontano dai soliti nomi. Non esisterebbero le avanguardie senza maestri sconosciuti alla massa (ma certo non a musei e collezionisti). E non si sarebbe formata una cultura del contemporaneo senza l’apporto di pittori, scultori, fotografi, designer, scenografi, illustratori, che in queste pagine vogliamo riproporre. Immagini e storie del '900 – spesso straordinarie - che rischiavamo di perdere o dimenticare.


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venerdì 31 agosto 2012

WIM DE HAAN. IL PRIGIONIERO DIVENUTO ARTISTA PER SFUGGIRE AI PROPRI INCUBI.


Non credo che l’inferno esista. Ma se l’avessero inventato, avrebbe sicuramente avuto una succursale in Birmania, tra il 1941 e il 1943, tra Mounbnein e Martaban.
E’ lì, nello scenario evocato dal film “Il ponte sul fiume Kway” (che già raccontava una realtà molto edulcorata) che il progetto di sostenere il grande esercito nipponico e la sua espansione in Thailandia spinge a costruire la famigerata ferrovia di Burma, all’interno di una foresta sino ad allora impenetrabile. 
Durante la sua costruzione, per incidenti, repressioni, malattie e stenti, moriranno 13.000 prigionieri di guerra del Commonwealth, olandesi, inglesi e americani (i loro corpi sono sepolti lungo il tracciato della ferrovia) e quasi 100.000 civili, manodopera forzata deportata dalla Malesia e dalle Indie orientali.
Tale sarebbe stata la fretta del Giappone durante le fasi finali del conflitto che negli ultimi 3 mesi gli operai sarebbero stati costretti a lavorare a cicli di 62 ore su 72, con metà della già scarsa razione giornaliera (cit. Sangue, ferro e oro. Come le ferrovie hanno cambiato il mondo, Christian Wolmar).
Molti degli scampati ebbero gravissimi problemi di re-inserimento. Molti furono i suicidi presso gli ospedali che li accolsero alla fine del conflitto.

 

 

Tra i sopravvissuti di quell’olocausto, anche il ventinovenne Wim De Haan (1913 - 1967), olandese di nascita, ma con interessi di famiglia in Indonesia e nel sud est asiatico. 
Wim non riesce a dimenticare. Cercherà però di farlo, per tutta la vita, provando a rielaborare e a esorcizzare la sua tragica esperienza con linguaggi per lui del tutto nuovi. 
Si laurea in psicologia. Inizia a dipingere, trasformando la sua passione giovanile in scelta di vita. Decide di tornare in Europa. 
Le sue opere, che sembrano spaziare tra l’espressionismo astratto e l’informale, hanno forti influenze e punti di contatto anche del mondo surreale di Mirò, spesso riletto in chiave polimaterica. Un mondo che Wim analizza in parallelo, senza mai fermarsi al semplice effetto visivo, o innamorarsi di una ironia.
Ciò che vuole esplorare, al di là della scelta formale, è il rapporto tra bene e male. La contraddizione tra disperazione e speranza, trasmutando i ricordi in sogni e in forme e colori. Ecco, ogni opera diventa così un racconto. Una lettera spedita nel passato per non dimenticare, per liberarsi dai propri incubi.
Un percoso di liberazione che miscela Freud e Calvinismo, che pone la ricerca artistica come strumento, e non come fine.

 

E’ un percorso che punta a rivivere a verbalizzare anche per scritto le proprie esperienze, dando vita a una parallela analisi letteraria, psicologica e artistica di ogni opera (scelta che emerge sin dal titolo che egli le assegna) assolutamente unica nel panorama dell’arte astratta del ‘900. E che rende la sua pittura molto diversa da qualsiasi altra e generica composizione astratta.

Nel 2008, il Cobra Museum di Amsterdam (movimento al quale aderì idealmente), gli ha dedicato un’ampia retrospettiva e un programma educativo, proprio nel segno della sua esperienza di vita. Anche l’Unesco ha usato la sua esperienza biografica per ricordare il rapporto tra dolore e arte.

 

 


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