Giorgio
Morandi ha passato la sua vita a dipingere bottiglie e bicchieri.
Giuseppe Manfredi (Seravezza - Lucca 1934 - Montecatini Terme - Pistoia
1987), no, spaziando dalle nature morte alla scene all'aperto, dagli
ambienti ai ritratti. Questo non vuol dire che uno è un profeta e
l'altro no. Ma neanche che continuare a esplorare la stessa tematica
apre le porte dell'inconscio. Uno e famoso, l'altro no, o comunque molto
meno. Ma quando vedo un'opera di Manfredi la riconosco, e mi piace,
anche appartiene a quel genere che non dovrebbe proprio interessarmi.
Manfredi appare così come un artista colto, padrone di una tecnica sapiente, densa, che trova nella pittura di Massimo Campigli, suo amico e in parte maestro, chiari riferimenti stilistici.
Anche per questo la natura morta che vi presentiamo, dei primi anni '60, e che il pittore forse amava di più, ha un significato importante. Saggio di pittura italiana, che coniuga la metafisica di Giorgio De Chirico con la compostezza di Morandi, con la tecnica della Scuola Romana. Anzi con la tradizione della pittura italiana di Simone Martini. E con Carrà, che di lui scrisse: "...nella pittura italiana c'è un filo sottile, che ci lega, a me, come a Manfredi, a Giotto e a Masaccio. Ma un filo che non diverrà mai un laccio..."
Da una "natura morta" prende così vita una composizione "racchiusa in se stessa", capace di comunicare atmosfere e suggestioni di altri tempi. SIamo alla fine degli anni '50, in un momento destinato a storicizzarsi come lo spartiacque tra un mondo e un altro, e fra due modi diversi di vivere l'arte figurativa. Morirà, ancora giovane, a 53 anni, lasciandoci un numero limitato di opere.
la sua semplicità è arte pura con l'abbuono di una capacità pittorica unica e vibrante
RispondiEliminaAmo le sue cromie delicate, le sue garbate Terre di Siena che si mescolano ai rossi, ai bianchi, palcoscenici muti di una sottile decadenza, colta nell' attimo più seducente ed inatteso. Qualcuno, prima o poi, riscoprirà la sua grande lezione.
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