E’ il 1914. Milano ha ancora attivo il trasporto a cavalli. Il cinema è muto. Sta per scoppiare la I Guerra Mondiale. E due ragazzi, uno di 23 anni, l’altro di 26, ancora senza laurea o con studi e anomali alle spalle, in un piccolo studio di Milano messo a disposizione dal padre di Mario, stanno disegnando la città del futuro.
Mica un’utopia. Mica l’illustrazione per un almanacco popolare, ma proprio quella che avreste potuto vedere ieri mattina, affacciandovi alla finestra di un qualunque hotel di Shanghai o di San Paolo. Solo, che era stata pensata 100 anni prima.
Uno tsunami creativo generato da due poli positivi, su modello dell’arco voltaico di Tesla, che si sarebbe pienamente espresso nello scorcio di appena 4 anni, prima che Sant’Elia (1888-1916) decidesse di partire volontario per il fronte, nel battaglione “Zappatori”, per cadere nel fango, con un colpo di moschetto alla fronte.
Prima che Mario Chiattone (1891-1957), rimasto solo a coltivare un sogno divenuto troppo grande per lui, partisse per la Svizzera per sprofondare nel perbenismo e in un ripiegato ritorno all’ordine.
Di questo corpus ideologico sono conservate, per entrambi, meno di un centinaio di lavori. Di Mario Chiattone rimangono solo 35 disegni di progetti eseguiti fra il 1914 e il 1918 e quattro bozzetti di scena del 1921, per la rappresentazione Die Strasse und der Garten, oggi conservati al Museo Teatrale alla Scala.
Su questa tavola abbiamo cercato di fare un po’ di chiarezza. E la perseveranza, sembra averci dato ragione. Ma andiamo per ordine.
Stiamo parlando di un foglio di cartoncino semilucido in bianca, di 22 cm di base per cm. 34,5 di altezza, firmato a matita in basso a sinistra “M. Chiattone”, con la doppia gobba di chi ha fatto scuola d’ornato e una chiara identità autografa.
Su di esso, tracciato a china, con la regolarità della squadra, si staglia un edificio massiccio, con due corpi aggettanti, inclinati, caratterizzati da grandi vetrate, sotto ai quali vediamo l’arco di una porta o di un percorso coperto. In alto, due torri che ricordano i fumaioli di una nave (il 1912 è naufragato il Titanic, e per mesi nei giornali non si è parlato d’altro) e che Chiattone ha spesso inserito nei suoi lavori.
Accanto al corpo principale (forse parte di un complesso ancora più ampio e articolato) scorgiamo una parete sulla quale si aprono strette finestre verticali alte molti piani. Tracciate in rosso.
Il tutto rafforzato a livello visivo con interventi di quella che sembra matita colorata. Con tracce di china spugnata a costruire il cielo.
Accanto al corpo principale (forse parte di un complesso ancora più ampio e articolato) scorgiamo una parete sulla quale si aprono strette finestre verticali alte molti piani. Tracciate in rosso.
Il tutto rafforzato a livello visivo con interventi di quella che sembra matita colorata. Con tracce di china spugnata a costruire il cielo.
Un uso del colore assai presente nei progetti dell'architetto bergamasco, che serviva, secondo lui, a movimentare i complessi di grandi dimensioni con l’obiettivo di far risaltare i volumi.
Un’opera monumentale, dinamica (sensazione che viene rafforzata dall’andamento del tracciato della strada o del marciapiede prospiciente) che travalica e reinventa le indicazioni liberty e del primo modernismo, per creare qualcosa che prima non c’era.
In chiaro superamento dei dettami della Wagnerschule, la scuola di Otto Wagner, titolare della cattedra di composizione architettonica all'Accademia di Belle Arti di Vienna che entrambi i giovani studenti di architettura avevano studiato e assimilato. Ma anche del razionalismo funzionalista di Peter Behrens, che nel 1909 aveva costruito con la fabbrica dell’AEG a Berlino un modello esemplare di edificio industriale moderno.
1914. L’ANNO PRIMA DELL’INFERNO.
Se questo è il contesto nel quale si colloca il disegno, che anno possiamo immaginare per la sua esecuzione?
Giorgio Ciucci scrive: “…nei disegni eseguiti dal Chiattone fra il 1914 e il 1916 si nota un oscillare fra motivi architettonici comuni anche a Sant'Elia, quali l'uso ripetitivo di linee inclinate per esprimere eleganza e massività, di colonne a sigaro che si innalzano libere a disegnare lo spazio...
Progetti quali Ponte e studio di volumi e Cattedrale VI, entrambi del 1914, Edificio con due torri, del 1915, Edificio immaginario, del 1916, non sono direttamente riferibili a immagini già conosciute ma evidenziano il carattere prevalentemente statico dell'architettura del C., il cui interesse si incentra, più che nella rappresentazione della dinamicità urbana cara ai futuristi, nella raffigurazione del singolo edificio: la serie di disegni di "cattedrali" documenta una ricerca sul grattacielo, il nuovo tempio urbano, che racchiude al suo interno l'esigenza per un nuovo ordine. Le prospettive angolari fortemente deformate che caratterizzano i disegni del C. sono l'unico riferimento alla dinamicità futurista; la città moderna è, per lui, visione dinamica di elementi statici che conservano il proprio ordine interno pur nella frammentarietà urbana”.
E’ in quest’area, quindi, soprattutto riferibile al 1914, che abbiamo iniziato a cercare.
Anche se, per comprendere appieno il significato della datazione e della cronologia, è necessario fare un passo indietro e scoprire cosa unisce Sant’Elia (più anziano di tre anni, il teorico futurista) a Chiattone.
Iniziati gli studi di architettura a Milano, all'Accademia di Brera, con una breve parentesi a Bologna, Chiattone scopre Boccioni e ne rimane folgorato. Ma la sua non è una passione acritica, ma uno stimolo a guardare verso nuovi orizzonti. Gli stessi del giovane collega, giunto da Como con un diploma da Capomastro sotto il braccio e un talento che lo stesso Marinetti riconosce subito, inserendolo tra i teorici del nuovo movimento, dando merito a un’apertura ai giovani e al nuovo che oggi appare impossibile.
Un’identità di visione (ma non di vie per raggiungerla) che unisce due ragazzi dalla faccia seria e che permette di far nascere tra loro solidarietà, condivisione, competizione, confronto. Anche se con visioni fortemente diverse, più visionaria in Sant’Elia, più filosofica in Chiattone. Più azzardata nel primo, più concreta nel secondo.
Nel 1912 Mario espone alla "Mostra di pittura e scultura rifiutate alla X Esposizione nazionale di Brera", la tela Gru elettrica, e inizia a dividere con Sant’Elia lo studio che il padre, benestante, gli ha messo a disposizione.
Ed è in questo studio che Antonio inizia la serie dei celebri disegni "Città Nuova”, che verranno presentati nel maggio-giugno 1914 dal gruppo “Nuove tendenze”, del quale lo stesso Chiattone era stato uno dei fondatori insieme a Ugo Nebbia e a Leonardo Dudreville. E che Mario esplora nella serie fondamentale Costruzioni per una metropoli moderna, del quale questo disegno fa quasi certamente parte.
Alla fine del 1914 il sodalizio si allenta.
Pochi mesi prima che la guerra finirà per cambiare, per sempre, le loro vite, lasciando il ricordo di un sodalizio artistico assimilabile per alcuni versi a quello tra Gaguin e Van Gogh, o tra Picasso e Braque, che ha rivoluzionato la visione dell’architettura moderna, tracciando le linee guida senza mai riuscire a poter trasformare l’idea in realizzazione.
Basti pensare che la quasi totalità dei progetti di Sant’Elia non furono mai costruiti, ma la sua visione e il suo Manifesto dell’Architettura Futurista ha influenzato tutti gli architetti e disegnatori degli anni a venire. E sempre a lui è attribuita anche l'antesignana idea degli ascensori sulle facciate degli edifici, anziché tenerli relegati "come vermi solitari" nelle trombe delle scale, offrendo un contributo importante allo sviluppo dei grattacieli nel concetto vuoto/pieno luce/struttura.
Al contrario Mario Chiattone, ha contributo a farci comprendere come il nuovo modello di città fosse possibile. Anzi, necessario. Abbinando all’intuizione dello schizzo architettonico tavole analitiche e studi di fattibilità, trasformando la provocazione in stile e visione di vita.
Al contrario Mario Chiattone, ha contributo a farci comprendere come il nuovo modello di città fosse possibile. Anzi, necessario. Abbinando all’intuizione dello schizzo architettonico tavole analitiche e studi di fattibilità, trasformando la provocazione in stile e visione di vita.
ASSONANZE E CONFERME
Sulla base di queste datazioni, e analizzando le foto delle opere di Chiattone conservate per lascito presso il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe dell’Istituto di storia dell'arte dell'Università di Pisa, l’enigma sembra chiarirsi e completarsi.
Ci imbattiamo così nel Padiglione per concerti del 1914 (Edificio a tunnel con due torri II), inchiostro di china su carta ocra, tinteggiato ad acquerello con tocchi a matita colorata, cm 22x34,5
Stesse dimensioni, al millimetro, del nostro foglio.
Stessi interventi cromatici, e la medesima struttura compositiva.
Tale da far pensare a una variante, o a un successivo sviluppo. Anzi, meglio, a un close-up di uno dei dettagli strutturali, capace di trasformare secondo una poetica molto amata da Chiattone, una struttura pubblica o industriale, in una nuova cattedrale laica. Ipotesi rafforzata dal riferimento della rivista Emporium, che presenta l’opera del giovane architetto facendo riferimento a “Particolare di uno stabilimento industriale” (confronta Emporium, Giugno 1919 Giovane architettura e giovani architetti, Mario Chiattone).
Assonanze stilistiche che ritornano analizzando la tavola Padiglione per concerti (Edificio a tunnel con due torri II), 1914, che identifica nell’elemento torri e piani inclinati il suo elemento dominante, ma che ipotizza uno sviluppo orizzontale più ampio e articolato, che riprende, forse, gli schizzi per la stazione Centrale di Milano che l’anno prima aveva sviluppato il suo amico Antonio.
Un’omogeneità di stile, applicazione e pensiero che si completa e si presta oggi a nuove interpretazioni.
Un’omogeneità di stile, applicazione e pensiero che si completa e si presta oggi a nuove interpretazioni.
Questo il nostro contributo.
Un’opera, una data, un riferimento filologico, un’attribuzione.
E l’orgoglio di avere aggiunto una piccola tessera a un mosaico ancora ricco di lacune (ad esempio non è stata ancora ritrovata la tavola Forme, presentata nel 1912 a Brera), e mancano molti dei suoi scritti teorici.
Un patrimonio che il nostro Paese dovrebbe salvaguardare e valorizzare come espressione di un contributo fondamentale alla costruzione ideologica dell’architettura contemporanea e al quale il Maxxi potrebbe pensare di dedicare una rassegna, confrontando il lavoro di quegli anni con i nuovi scenari internazionali.
Da parte nostra, continueremo a studiare e a ricercare, confrontandoci su questo punto con i maggiori esperti del settore. Pronti a cogliere contributi e suggerimenti.
Da parte nostra, continueremo a studiare e a ricercare, confrontandoci su questo punto con i maggiori esperti del settore. Pronti a cogliere contributi e suggerimenti.
NOTE BIOGRAFICHE
ANTONIO SANT'ELIA (Como, 30 aprile 1888 – Monfalcone, 10 ottobre 1916) è stato un teorico dell’architettura, firmatario del Manifesto dell'Architettura Futurista.
Nato a Como, dopo essersi diplomato capomastro nel 1905, si trasferisce a Milano, dove apre un proprio studio professionale.
Nell'ambiente di Brera conosce Carlo Carrà, Leonardo Dudreville, Mario Chiattone. Nel 1912 supera l'esame di licenza come professore di disegno architettonico e accede alla cattedra di Bologna. Nel 1912 collabora con il gruppo Nuove Tendenze insieme a Mario Chiattone, con il quale nel 1913 aprirà uno studio di architettura a Milano.
Sempre del 1914 redige il Manifesto dell'Architettura futurista, rielaborazione in chiave architettonica del Manifesto di Marinetti, di cinque anni prima, scritto sostanzialmente da Sant'Elia, riprendendo il testo "Messaggio", pubblicato in precedenza nel catalogo della mostra Nuove Tendenze.
Cessato il sodalizio con Chiattone, nel 1915 si arruola volontario nel Regio Esercito Italiano, ottenendo i gradi da sotto-tenente. Il 10 ottobre, Sant'Elia si trova schierato col suo reparto a Quota 85 di Monfalcone. Lanciatosi col suo plotone all'assalto di una trincea nemica, muore colpito in fronte da una fucilata.
Manifesto dell'Architettura futurista
PROCLAMO
1. che l'architettura futurista è l'architettura del calcolo, dell'audacia temeraria e della semplicità; l'architettura del cemento armato, del ferro, del vetro, del cartone, della fibra tessile e di tutti quei surrogati del legno, della pietra e del mattone che permettono di ottenere il massimo della elasticità e della leggerezza;
2. che l'architettura futurista non è per questo un'arida combinazione di praticità e di utilità, ma rimane arte, cioè sintesi, espressione;
3. che le linee oblique e quelle ellittiche sono dinamiche, per la loro stessa natura, hanno una potenza emotiva superiore a quelle delle perpendicolare e delle orizzontali, e che non vi può essere un'architettura dinamicamente integratrice all'infuori di esse;
4. che la decorazione, come qualche cosa di sovrapposto all'architettura, è un assurdo, e che soltanto dall'uso e dalla disposizione originale del materiale greggio o nudo o violentemente colorato, dipende il valore decorativo dell'architettura futurista;
5. che, come gli antichi trassero ispirazione dell'arte dagli elementi della natura, noi - materialmente e spiritualmente artificiali - dobbiamo trovare quell'ispirazione negli elementi del nuovissimo mondo meccanico che abbiamo creato, di cui l'architettura deve essere la più bella espressione, la sintesi più completa, l'integrazione artistica più efficace;
6. l'architettura come arte delle forme degli edifici secondo criteri prestabiliti è finita;
7. per architettura si deve intendere lo sforzo di armonizzare con libertà e con grande audacia, l'ambiente con l'uomo, cioè rendere il mondo delle cose una proiezione diretta del mondo dello spirito;
8. da un'architettura così concepita non può nascere nessuna abitudine plastica e lineare, perché i caratteri fondamentali dell'architettura futurista saranno la caducità e la transitorietà. Le case dureranno meno di noi. Ogni generazione dovrà fabbricarsi la sua città. Questo costante rinnovamento dell'ambiente architettonico contribuirà alla vittoria del Futurismo, che già si afferma con le Parole in libertà, il Dinamismo plastico, la Musica senza quadratura e l'Arte dei rumori, e pel quale lottiamo senza tregua contro la vigliaccheria passatista.
MARIO CHIATTONE (Bergamo, 11 novembre 1891 – Lugano, 21 agosto 1957) è stato un architetto e pittore italo-svizzero, con riferimenti culturali ticinesi.
Figlio di Gabriele, cartellonista attivo a Bergamo, e nipote degli scultori Antonio e Giuseppe Chiattone sin dalla tenera età rivela un forte talento artistico. Nel 1898 si trasferisce a Milano dove studia pittura e architettura presso l'Accademia di Brera dal 1907 al 1914 e dove conosce Carlo Carrà, Umberto Boccioni e Antonio Sant'Elia, con il quale avrebbe tracciato pochi mesi dopo, pur nei distinguo, le linee guida dell'architettura futurista.
Nel 1912 partecipa all'Esposizione annuale dell'Accademia di Brera alla mostra degli artisti rifiutati con la tavola La gru elettrica che ne rivela subito la forte personalità e lo accredita nel panorama delle avanguardie cittadine.
I disegni milanesi del 1914 sottolineano inoltre il suo interesse per la Wagnerschule, interesse condiviso dall'amico Antonio Sant'Elia, con cui aveva aperto uno studio.
Prende parte alla mostra del gruppo Nuove Tendenze del quale fu uno dei primi aderenti e promotori. E' in questa occasione che espone disegni sul tema della metropoli di chiara e forte visione modernista e futurista. Autentici capolavori, che prefigurano con sorprendente lucidità le città del futuro e l'architettura moderna che si sarebbe compiuta solo nella seconda metà del '900.
Nel 1915 ottiene il diploma di architetto presso l'Accademia di Belle Arti di Bologna. I suoi disegni degli anni 1916-1918 denotano il variare degli influssi dell'avanguardia milanese e l’attenzione ai temi ispirati dall'architettura tradizionale prealpina.
Dopo la prematura morte dell'amico Antonio Sant'Elia, Chiattone sembra perdere motivazione e furore sperimentatore.
Si trasferisce quindi nel Canton Ticino, dove inizia la sua attività di libero professionista e, in seguito, di amministratore politico. Dopo gli anni di avanguardia, esordisce con un ritorno all'ordine, nel 1925, con la costruzione del proprio atelier, di gusto neoclassico, per poi dedicarsi a una ricerca rivolta all'architettura rurale d'area prealpina. In un’intervista rilasciata negli anni ’50 rinnegherà la sua esperienza d’avanguardista.
E’ considerato uno dei padri putativi dell’architettura moderna.