Con questo quadro Luigi D'Alessandro partecipa alla IX Quadriennale d'Arte di Roma, e il "Paese Sera" nel racconto critico della rassegna lo pone insieme a Burri, Capogrossi, Afro, Tano Festa tra più interessati tra i nuovi autori.
E' il 1965, e non ha neanche 40 anni. La sua opera incarna lo spirito del tempo, e pone come oggetto della natura morta i ferri e gli attrezzi di una officina meccanica. Anche lui affascinato dal rapporto uomo/macchina che tanto caratterizzò quel periodo. Un percorso che lo ha visto partire all'inizio degli anni '50 con il pittore pavese Mario De Paoli alla volta di Parigi per poi diplomarsi all'Acadèmie de La Grande Chauniere. E quindi debuttare a Roma a Via Margutta con il supporto critico di Marcello Venturoli.
Ecco, questo quadro rappresenta tutto questo. L'orgoglio, la speranza, la passione, il progetto.
Poi, dopo due mostre e sempre ottime recensioni, gli annuari ne perdono le tracce.
Un destino comune a molti artisti, perchè la storia nella sua crudezza ignora sempre pause, drammi umani, crisi creative, o il perdersi dietro alle mille difficoltà della vita.
Per questo l'opera sta oggi qui, su queste pagine digitali. Scoperta sul retro di una cartolina invito del 1965, che riportava sotto al nome dell'autore la dicitura: L'UOMO, LA MACCHINA, LA FOLLIA. DOVE STIAMO ANDANDO?
Forse non lo sapremo mai.
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