domenica 28 luglio 2019

CARLO MATTIOLI. LECCIO, QUERCIA, TEMPESTA

Un albero come punto di arrivo in un percorso personale, che trova numerosi riferimenti, ma mai adesioni a stereotipi. Una pittura nella quale molti critici hanno ravvisato il frutto della lezione di Morandi, Sironi e de Staël, oltre a singolari tangenze col Burri dei sacchi e cellotex (come emerge dalla mostra alla Fondazione Magnani Rocca), ma che si incrocia anche con la famosa serie degli alberi di Schifano, e perché no, in alcuni lavori di Sergio Toppi e Ferenc Molnar con l'orizzonte che viene magicamente alzato nella parte superiore dela tela. Perché le sue opere sono belle, ovvio (cercatelo in rete), ma sono soprattutto sincere. Mio padre avrebbe detto "un soffio..."




Mattioli nasce l’8 maggio 1911 a Modena, figlio di un pittore figurativo e docente, che conduce la famiglia a Parma, dove Carlo studierà Belle Arti. Nel 1937 si sposa con Lina, protagonista di molte sue opere, ritratti, nudi, iniziano dagli anni ’40 a occuparsi di grafica.
Del 1943 la prima personale alla Galleria del Fiore di Firenze. I nudi lasciano spazio alle nature morte, quindi ai paesaggi di Parma, ai notturni, e infine paesaggi arsi dal sole e dalle nubi.
Come citato nel sito a lui dedicato “Sono forme di frequentazione e consuetudine antiche viste, meditate infine disseppellite dopo molto tempo in un’esplosione di colori per lui inediti: le spiagge, i campi di papaveri e di lavanda, le ginestre, le aigues mortes, gli alberi, la Versilia, le colline di Castrignano, le foreste di Birnam, i boschi.”
Nel 1983 muore Lina. Nello stesso anno avviene la grande donazione all’Università di Parma.
Nel 1993 esegue gli ultimi quadri a olio. Una nuova pagina. Sono calanchi bianchi, come fantasmi di pietra. Muore a Parma il 12 luglio del 1994.










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