sabato 6 ottobre 2018

ERNESTO DE FIORI. ROMA-BERLINO – RIO. NO STOP.

Alla domanda di Pier Maria Bardi se avesse ricevuto alcun influsso dalla scultura tedesca, aveva risposto nel 1914: «Al contrario, la scuola tedesca è stata influenzata da me ». Dichiarazione di un artista di fulminante e mondano successo, che ritenne più volte di doversi esprimere e giustificare la propria poetica, e che giunse a ritrarre eminenti personaggi pubblici quali Paul von Hindenburg (1928) o celebrità dello spettacolo e icone della mascolinità e della femminilità quali il boxeur Jack Dempsey e Marlene Dietrich (1931), cittadino del mondo, oggi fortemente dimenticato. Almeno in Italia.




Figlio del corrispondente da Roma della Freie Presse di Vienna - e di Maria Unger, austriaca, nacque a Roma nel 1884. Studia in Italia, a Monaco, poi va a Londra e infine si stabilisce a Parigi nel 1911 e nel 1916 opta per la nazionalità di tedesca, combattendo nella prima guerra mondiale.
Manifestò un interesse precoce per le arti figurative, recandosi nel 1903 a Monaco per studiare pittura e disegno all'Accademia di belle arti con Otto Greiner. Scontento dell'insegnamento accademico e scoraggiato dal maestro, tornò a Roma l'anno seguente; dipinse alcuni quadri, in cui sono evidenti accenti espressionistici, chiaramente mutuati dal pittore svizzero F. Hodler. Un soggiorno a Londra nel 1909-1910 e il contatto a Parigi, dove si stabilì nel 1911 e infine a Berlino.
La prima attività scultoria di De Fiori, a Parigi negli anni 1911-13, testimonia ricerche formali indubbiamente vicine ad Archipenko e Brancusi: in seguito, il suo riferimento per questo periodo sarà da lui indicato in Maillol, il che significa rinnegare questa fase sperimentale della propria formazione. De Fiori si contrappone dapprima al movimento dada (1918), guadagnandosi gli sberleffi di Max Ernst, quindi all’astrattismo. E’ ambiguo nei confronti del nazismo e dell’antisemitismo, sino a quando partirà per il Brasile per non tornare più in Germania.





Morì a San Paolo il 24 apr. 1945. Gli fu dedicata una sala speciale nella XXV Biennale di Venezia (1950) ed ebbe una grande retrospettiva nel 1975 al Museo d'arte contemporanea di San Paolo.
Sulla sua attività si conservano alcune sequenze del film «Schaffende Hände» (mani che plasmano, girato nel ’27 da Hans Cürlis), che ce lo mostrano chiaramente come un modellatore. 





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