giovedì 2 novembre 2017

OUTSIDERS. 35 STORIE DEL '900 DA RISCOPRIRE. UN OMAGGIO ALLA CREATIVITA' DISPERSA.

Gli Outsiders sono perdenti per definizione. 
Non scelgono mai i luoghi e le date giuste per nascere, creare, amare, morire. Vivono in mondi paralleli. 
E hanno sempre l’indirizzo sbagliato.




OUTSIDERS. I COLORI DELL’OMBRA.

Mi piace ridare vita e dignità alle cose. Sono un cercatore compulsivo, che viaggia molto e non ha timore ad aggirarsi in luoghi che renderebbero eleganti i peggiori bar di Caracas. E tra le cose che devo sottrarre all’oblio le foto assumono un ruolo importante. Quelle che gli anglosassoni chiamano snapshot, istantanee senza autore: sposini, bambini imbronciati, megere, gruppi di famiglia, persone che ti guardano sedute davanti a una tavola imbandita, chissà dove. Sono tutti morti.
Quando stringo però queste foto tra lemani ho la sensazione di poter ridare una memoria che, senza un testimone, senza me, non esisterebbe più. Una missione, che mi porta a credere di possedere io solo, sulla Terra, quell'immagine. Le osservo. Cerco di scoprire le relazioni e le connessioni che tengono uniti i miei personaggi in quel determinato spazio, per quella frazione di istante. Mi soffermo, come Amelie, sui dettagli in secondo piano, sugli oggetti della credenza, sulla data del calendario. E mi piace quando uno di loro, fra tanti volti, sembra volermi guardare dritto negli occhi, come nella sequenza finale di Shining.

Ma questo è solo l’inizio. Perché, oltre che di immagini, sono un divoratore bulimico di storie, retaggio di un’antica formazione da sceneggiatore. E mi piace salvare la creatività dispersa, quella che non è mai venuta alla luce.
Acquisto disegni, bozzetti su carta, progetti architettonici, più raramente quadri e sculture. Mi piacciono soprattutto le idee colte nel momento iniziale, ma anche le opere non firmate, che adoro studiare, decodificare, condividere, come un archeologo.
E mi piace scoprire cosa si nasconda dietro la superficie. Perché l’arte è solo un grumo di pensiero tenuto insieme dal colore, dalla grafite, da una forma.
L’ho scoperto da bambino, lavorando nello studio del mio babbo, Enrico Accatino, artista e teorico dell’educazione artistica, aiutandolo a stendere le tele, a preparare pigmenti, mescolando il gesso, mentre la polvere volteggiava lentamente nei raggi di sole che filtravano dalle grandi finestre e si sentiva fuori attutito, il rumore del traffico.
Io detestavo quello studio, perché mi teneva lì mentre sarei rimasto a casa a vedere la televisione o sarei andato a giocare a pallone a Villa Ada, perché è vero che ero una pippa, ma a me non bastava mai.

Grazie a quelle ore di tedio ho però capito molte cose.
Ad esempio, che l’amore per l’arte è un’eredità maledettamente ingombrante. E se la accetti, non ti lascia più, anche se vorresti mollare tutto.
E vi giuro che ci ho provato.
Ho compreso, poi, che le opere sono sempre influenzate dalla vita.
È inevitabile. Perché anche gli artisti, come ognuno di noi, proiettano nelle loro creazioni sogni desideri e paure. Diventano maturi, amano, invecchiano, magari male. Così, se la biografia produttiva di un autore si ferma, c’è sempre un perché, anche se i testi non lo raccontano se non sei uno dei Top 100, intendo.
E io, invece, lo voglio sapere.

Qualcuno è stato piegato da difficoltà e malattie, qualcuno ha perso l’amore, o lo ha inseguito per una vita senza raggiungerlo. Qualcuno ha combattuto battaglie perse in partenza, qualcun è morto proprio quando era riuscito a raggiungere il successo, dopo anni vissuti nell’ombra e magari, come Pino Pascali, sfrecciava felice su una moto nel caldo dell’agosto romano mentre stava per essere celebrato come il genio del momento.
Le opere sono sempre figlie di queste storie, così diverse tra loro.
Anche se poi esiste una totale rimozione di fronte a fenomeni come pazzia, morte, decadenza fisica, che copriamo con perifrasi insignificanti: “…dopo lunga malattia”, “disagi psichici”, “…per un malore.”

Ho capito, infine, che non ha senso incasellare la storia dell’arte visiva in semplici categorie elementari: “Alto” e “Basso”. I “Maestri” e gli “Altri” (i minori). A cui seguono, per distacco, i “Non-Artisti” (illustratori, commercial art, comic art…), le “Curiosità” (performing art, street art…) e i “Matti”. Definizione che comprende la sottospecie “Casi Umani”, ottimo materiale per fiction. Eppure, conosco opere mediocri di grandi artisti, e magari opere pazzesche di sconosciuti che hanno avuto per destino la facoltà di lasciare - anche in una sola realizzazione - un segno indelebile, anticipando mode e tendenze, dando forma e identità al proprio tempo.

Ecco. Questo è il senso di Outsider.
Racconti che avrei voluto ascoltare, narrati come avrei voluto sentire, che nessuno mi aveva mai raccontato.
Una partitura di immagini e parole scelte con sincerità, che si prefigge di accendere la luce in zone rimaste all’oscuro, e di recuperare emozioni, colori e schegge di creatività emerse nella cultura visiva del ‘900. E storie che trovo sia giusto condividere.

Non è però, a scanso di equivoci, una storia dell’arte alternativa.  Non sarei titolato a farlo. E’ un atto dovuto, che nasce dalla volontà di ridare dignità e memoria a eventi o a personaggi che ho incontrato per strada, quasi sempre in maniera casuale, che non conoscevo, che altri potrebbero ignorare,  che ho pensato valesse la pena condividere.  Secondo me, grandi artisti, la maggior parte dei quali, dimenticati. O non conosciuti nei loro aspetti più intimi e quotidiani.

Outsider perché la vita, senza troppi giri di parole, li ha presi a calci in culo. Che hanno raggiunto il successo, ma che poi non hanno saputo mantenerlo, senza risorse, senza qualcuno che lottasse per loro, o dopo di loro, per mantenerne vivo il ricordo o promuoverne l’opera.
Outsider perché hanno dovuto condividere l’arte con la malattia.
Che, magari, hanno avuto la disgrazia di nascere donne anziché uomini, in anni ancora acerbi. O nati in nazioni sfigate, in periodi difficili, visto che è meglio vivere a Saint Tropez negli anni ‘60 che in terra di occupazioni, accusati di essere ebrei, froci, zoccole, comunisti, fascisti, imperialisti.
Outsider perché diversi, in anticipo sui tempi, bollati come pazzi, alieni, stravaganti, conosciuti solo da storici dell’arte e collezionisti, e mai dal grande pubblico, a cui vengono costantemente negati.
Outsider perché hanno rinunciato a lottare, o hanno trascurato il mercato per proseguire, in solitudine, la propria ricerca, sino a svanire.
Outsider infine, perché non sono riusciti a sopravvivere al conformismo, alle guerre che hanno sconvolto il ‘900, alle persecuzioni razziali, culturali o politiche, ai pogrom, alle uccisioni selettive e infine ai disastri delle droghe e agli eccessi della beat generation.

Dove li ho scoperti?
Li ho trovati soffermandomi nelle pareti meno nobili dei musei - quelle vicino al bagno o all’ascensore - fotografando la targhetta per andarmeli a studiare, poi, con calma.
Li ho trovati acquistando cataloghi d’epoca su una bancarella. Nelle aste di secondo rango, le uniche che riserbano ancora sorprese. Colpito dalla forza di immagini mai viste, che ti compaiono mentre stai googlando in rete senza meta. Quella che Daverio chiama “macchina fantastica …perché contiene già rimandi e parallelismi. Sia nella strada diritta… che in quella dell’errore. Ovvero, quando internet salta di palo in frasca e ti apre strade altrimenti inimmaginabili…

Li ho trovati, infine, cercando di dare una storia e un volto ai folgorati che popolavano Parigi, Berlino e San Pietroburgo tra gli anni ’20 e ’30, agli studenti della Bahaus, che ho provato a rintracciare, ai pittori degenerati sbeffeggiati nella mostra Entertatre Kunst voluta da Hitler per deridere l’arte moderna, che andrebbero citati e omaggiati uno ad uno, ogni settimana.
Perché gli outsider sono straordinari perdenti, e li riconosci al primo sguardo. Sono perdenti. Non scelgono mai i luoghi e le date giuste per nascere, creare, amare, morire. Vivono in mondi paralleli. E hanno sempre l’indirizzo sbagliato.

Tutte queste storie mi crescevano dentro.
Ho iniziato prima a scrivere in maniera anonima una cinquantina di voci di Wikipedia, perché soffrivo di questo silenzio e del fatto che molti autori non avessero neanche un riferimento in italiano. Ho poi raccolto questo materiale nel blog che state leggendo, “Il Museo Immaginario”, evidente omaggio all’omonimo libro di André Malraux, poi affiancato da una pagina social di successo, e infine da una rubrica di ArteeDossier che ha come focus la rivalutazione di artisti poco noti del ‘900.
Ed è sulla figura del padre, con il con il quale ognuno prima o poi deve sempre fare i conti - se sulla tua strada incontri Buddha, uccidilo - che ho voluto chiudere questo primo viaggio, dedicandogli l’ultimo capitolo.

Prima di lasciarvi, una cosa però la devo dire: la scientificità non è tra i pregi di questo libro. Certo, ho raccolto le informazioni biografiche cercando di rispettare ogni dettaglio, verificandone l’attendibilità, a volte, confrontando le fonti, spesso scarse o disomogenee. Ma i fatti possono essere stati da me interpretati o riletti in chiave del tutto personale. Cosa della quale mi assumo la totale responsabilità.
Se avete qualcosa da opinare, quindi opinate. Ma se anche uno solo di questi autori vi spingerà a riscoprire mondi, idee, cose, opere o sfide, non avremo perso tempo. Entrambi.
E anche gli outsider, i dimenticati, i perdenti, alla fine, potranno dire di avere vinto.

COSA E’ IL PROGETTO OUTSIDERS

Questa è una storia di gente poco importante.
34 storie straordinarie nella loro straordinaria umanità. E’ la storia della creatività dispersa. E in parte ritrovata.
 Scoprirete così le vicende della Baronessa Elsa Von Freutag-Lorighoven, la vera autrice del celebre “orinatoio” di Duchamp, l’opera cardine del ‘900, donna dalle mille vite e dalla fine tragica. Oppure, potrete seguire come in un giallo, le tracce di Nicholas Kalmakoff, un maestro russo riaffiorato al Mercato delle Pulci di Parigi grazie all’impegno di due collezionisti inventatisi detective. O ripercorrere la vita avventurosa di Amrita Sher - Gil la prima donna-artista indiana, la cui storia fa impallidire Frida Khalo, morta a 27 anni per un aborto clandestino. Potrete commuovervi con il toccante profilo di Dick, il “pittore con le dita a bacchetta”, il cui autoritratto compare nella cover del libro, così chiamato per la sua grave disfunzione cardiaca che lo costrinse a vivere chiuso in casa. Potrete tifare per Arthur Cravan. Il poeta DA che sfidò Jack Johnson, il Campione dei Massimi, o seguire la toccante parabola di Felix Nussbaum, rimasto quattro anni nascosto con la moglie in un sottotetto di Bruxelles per sfuggire alle persecuzioni naziste, prima di essere scoperto e partire verso la morte, con l’ultimo convoglio.        
C’è spazio veramente per tutto e tutti. Dalle vicissitudini del primo transessuale della storia, raccontate nel film “The danish girl”, a quelle del miliardario americano Gerald Murhpy, un tipo che ispirò i romanzi di Scott Fitzgerald, che lanciò la moda dei bagni di mare e della tintarella, inventandosi di fatto la Costa Azzurra e, incidentalmente, anche la Pop Art.
Tra gli italiani Gino Rossi, un poeta della follia, i cui quadri furono utilizzati per tamponare i pollai delle campagne vicino alla sua casa, o Mario Chiattone, l’architetto che con Sant’Elia disegnò in pochi mesi la città del futuro, prima di annullarsi in una quiete esistenza borghese.        
Pochi i nomi noti: Vivian Meier, la bambinaia che faceva la fotografa nel tempo libero, scoperta svuotando una cantina di Chicago dove aveva ammassato migliaia di negativi. Adolf Wolfli, un pedofilo ossessivo divenuto in seguito artista enciclopedico a cui è stata dedicata una grande fondazione. E Pavel Filonov, morto letteralmente di fame durante l’assedio di Leningrado anche perché si ostinato a non voler vendere le proprie opere.
Ultimo ritratto quello di Enrico Accatino, mio padre con il quale avviene un doloroso confronto. Perché se sulla tua strada incontri il Buddha lo devi uccidere.
Tutto qua. Sì, tutto qua. Perché è proprio dalla vita, dalla pietas e dall’attenzione alle piccole cose che il libro offre il meglio di sé, con una veste grafica sontuosa, ricca di foto a colori, e con uno stile disincantato, colloquiale, a volte trasgressivo, che rende facile e immediatamente comprensibile anche il riferimento più colto.        
L’arte, per fortuna. ha ancora un mondo di storie da raccontare e di sorprese da offrirci. Basta guardare lì, dove nessuno prima aveva ancora fatto, cercando pagliuzze d’oro nel torrente di un fiume.


 

http://www.giunti.it/libri/arte/outsiders








7 commenti:

  1. In questi giorni ho acquistato il suo libro come regalo di Natale, ci tenevo molto..
    Vorrei riportarne alcune parti nel mio blog ovviamente citando la fonte. E' davvero interessante e illuminante, complimenti.
    Auguri di giorni sereni

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  2. Bellissimo libro! Spero che comunque il blog continui ad essere aggiornato
    Buon natale e buone feste
    Chicco

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    1. certo che sarà aggiornato. puoi seguirci sulla pagina https://www.facebook.com/Il-Museo-Immaginario-di-Alfredo-Accatino-487467594604391/

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  3. Un libro straordinario. L'ho comprato dopo averlo visto in rete, e mi sono commossa. Ogni autore sembrava quello che amavo di più, sino al capitolo successivo. Spero verament che questo progetto continui, finalmente un po' di aria fresca per stile e idee nel polveroso mondo dell'arte. Anna Dentice

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  4. Ho visto il secondo libro x caso in una libreria e mi ha subito attratto. L ho trovato molto bello e mi procurerò senz'altro anche questo.
    Complimenti.

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  5. zinzia.milanese@gmail.com29 maggio 2022 alle ore 16:13

    Bellissimo libro....ora ho scoperto anche questo blog....non mollerò più l'autore!mi emoziona ad ogni lettura

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